attraverso queste mie parole – Introduzione

Prefazione

Liliana Segre

Sono una delle pochissime persone ancora viventi in Italia che porta sul braccio il numero di Auschwitz.

Questo numero mi assegna il compito non solo di ricordare, ma anche di dare, in qualche modo, la pa- rola a coloro che ottant’anni orsono non la ebbero; a quelle migliaia di italiani, 40.000 circa, appartenenti alla piccola minoranza ebraica, che subirono l’umi- liazione di essere espulsi dalle scuole, dalle professio- ni, dalla società, quella persecuzione che preparò la shoah italiana del 1943-1945, che purtroppo fu un crimine anche italiano, del fascismo italiano.

Soprattutto, si dovrebbe dare idealmente la parola a quei tanti che, a differenza di me, non sono tornati dai campi di sterminio, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento.

Salvarli dall’oblio, coltivare la Memoria, non signi- fica soltanto onorare un debito storico verso quei no- stri concittadini di allora, ma anche aiutare gli italia- ni di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano.

A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha ver- so gli altri.

Chiunque si assume questo compito, che io conti- nuerò finché avrò forza, questo impegno per traman- dare la memoria, contrastare il razzismo, costruire un mondo di fratellanza, comprensione e rispetto, darà continua linfa ai valori della nostra Costituzione.

Liliana Segre nata a Milano il 10 settembre 1930
deportata ad Auschwitz il 30 gennaio 1944
sopravvissuta
nominata senatrice a vita il 19 gennaio 2018

Introduzione

Gabriella Cremaschi

Da quando, con la legge n. 211 del 20 luglio 2000, il Parlamento italiano ha istituito «il Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti», per molti anni abbiamo ascoltato le parole dei testimoni sopravvissuti. Ora, per evidenti ragioni anagrafiche, le loro voci si fanno più rare e più deboli.

Per questa, e per molte altre ragioni che qui sarebbe troppo lungo esplorare, si pone il problema di come dare voce al ricordo perché la memoria non diventi pura celebrazione retorica ma sappia diventare eco nel presente e continui a interrogarci.

La legge richiama esplicitamente questo dovere quando all’articolo 2 recita:

«In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere».

«Momenti comuni di narrazione dei fatti […] affinché simili eventi non possano mai più accadere» sono i due elementi su cui poggia la proposta contenuta in questo volume.

Narrare alcune storie delle persone che hanno subito la violenza della deportazione e dello sterminio può essere lo strumento per sottrarre all’oblio la storia dei milioni e milioni di uomini, donne, bambini e bambine scomparsi nella shoah e nel porrajmos negli anni del secondo conflitto mondiale.

Il 27 gennaio 2008 lo scrittore israeliano David Grossman, nella prolusione pronunciata a Firenze in occasione della consegna della laurea ad honorem, affermava:

«Proprio le vicende individuali, private, sono il “luogo” più universale, la dimensione entro la quale è possibile creare il senso di identificazione umana e morale con le vittime che permette a chiunque di porsi ardui interrogativi: come mi sarei comportato io se fossi vissuto a quell’epoca, in quella realtà? Come mi sarei comportato se fossi stato una delle vittime, o un connazionale degli aguzzini? Ho l’impressione che fino a che non risponderemo a queste domande – ognuno per conto proprio – fino a che non ci sottoporremo a questo auto-interrogatorio, non potremo dire a noi stessi di aver affrontato pienamente ciò che avvenne laggiù. E se non lo faremo, dimenticheremo».

I percorsi presentati in questo lavoro hanno questo obiettivo: cercare nelle vicende individuali “il senso di identificazione umana” che possa far nascere den- tro di noi gli interrogativi che ci pone Grossman. Per questo motivo si sono selezionati testi che raccontino storie e che presentino ai nostri occhi persone reali, le riportino vive, grazie alla nostra voce, tra noi. Perché la storia di Anne, di Alberto, di Etty, di Imre e le molte altre che sono raccontate in queste pagine ci provochino e ci lascino inquieti.

Far risuonare «le voci ormai lontane che rischiano di perdersi nell’oblio» – responsabilità che si è posta Liliana Segre nel commentare la sua nomina a senatrice a vita da parte del Presidente Sergio Mattarella, il 19 gennaio 2018 – è il criterio che ha guidato la scelta dei testi, quasi esclusivamente provenienti dalle voci di testimoni, alcuni dei quali non sopravvissuti ai campi.

L’intento di questa antologia è proporre percorsi di letture da leggere ad alta voce: perché “far risuonare le loro voci” diventi un fatto reale, fisico.

Leggere ad alta voce, senza alcuna pretesa di professionalità specifica o intento teatrale, ma come gesto di cittadinanza riparativo, come segno di responsabilità civile; prestare le nostre voci di cittadini e cittadine a chi la voce non l’ha più, a chi è stato privato del diritto di parlare, di andare a scuola, di vivere.

A scuola, come raccomanda la legge, nelle associazioni, nelle comunità del territorio leggere ad alta voce queste storie può diventare monito e occasione di una riflessione che ci conduca a fare sì che, come raccomanda ancora la legge, «simili eventi non possano mai più accadere». La memoria condivisa collet- tivamente, fatta risuonare in pubblico, diventa gesto civile di impegno e di assunzione di responsabilità.

Leggere ad alta voce queste storie per proseguire l’impegno che Primo Levi assume ne La tregua nei confronti di Hurbinek, dare vita con le parole a chi non ha potuto neppure avere un nome:

«Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero; Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo, fino all’ultimo respiro, per conquistarsi l’entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morì ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento.

Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole».

Nota metodologica

Il testo propone sei percorsi utilizzabili nei modi più svariati a seconda della situazione. Nelle occasioni in cui finora sono stati presentati in pubblico, la modalità adottata è stata quella della lettura ad alta voce dei testi, inframmezzata da proposte musicali coerenti; una voce narrante accompagnava le letture, commentando e introducendo quando necessario.

La scelta dei testi – che non ha ovviamente alcuna pretesa di completezza e di esaustività – risponde unicamente al mio personale gusto letterario e alle mie parzialissime conoscenze dell’immensa letteratura inerente al tema; scorrendo l’elenco degli autori e delle autrici citati si possono peraltro intuire i criteri che hanno guidato la scelta.

Si è lavorato su passi di testimoni: alcuni scritti durante l’internamento da persone scomparse nei campi e a noi fortunosamente arrivati (Katznelson, Hillesum, Frank, Weber, il rabbino di Grabow); altri hanno un grado di rielaborazione letteraria più alto, essendo stati scritti nell’immediatezza del ritorno (Levi, Millu, Wiesel). Altri ancora, scritti nei decenni successivi alla fine della guerra e in alcuni casi anche quaranta anni dopo, hanno assunto forme letterarie più tradizionali: sono romanzi in cui si rielabora la il racconto è legato all’esperienza dei campi e in alcuni casi non è il tema centrale di essi (Bassani, Ginzburg, Joffo); infine compaiono testimonianze trascritte in occasioni e modi diversi (Se- gre, Edelman, le sorelle Bucci e quasi tutti i testi del percorso sulle leggi razziali).

Le eccezioni al criterio di utilizzo esclusivo di opere di testimoni sono motivate, nel caso di Io non sono Myriam, dal fatto che si desiderava trovare una voce che raccontasse una storia di rom, e nel caso di Yossl Rakover si rivolge a Dio, il testo affronta specificamente il tema del rapporto con la fede e con Dio.

Si sono privilegiate opere con un grado di rielaborazione letteraria alta, testi noti al grande pubblico anche grazie alle trasposizioni cinematografiche, perché la lettura ad alta voce fosse più efficace e immediata.

I testi non devono necessariamente essere letti integralmente; nelle letture già effettuate, in alcuni casi per esigenze di brevità, sono state scelte le parti più significative e riassunte le parti non lette. Qui si sono lasciati i testi completi per garantire una maggior comprensione del contesto.

L’ordine con cui i testi sono proposti ha una sua logica, evidente nel caso del primo percorso. In quasi tutti gli altri percorsi si sono alternate voci e perso- naggi maschili e femminili. Nulla vieta a chi userà questo lavoro di costruire i suoi personali percorsi riaggregando i testi come meglio crederà.

Le introduzioni presentano brevemente i libri da cui sono stati tratti i testi e collocano i brani scelti nel contesto: costituiscono quindi suggerimenti per il com- mento che dovrà accompagnare le letture ad alta voce. Infine, pur nella sua assoluta parzialità e nella sua struttura artigianale, questa antologia è una proposta di esplorazione nell’immenso patrimonio che la lette- ratura della testimonianza ha consegnato all’Europa dopo il secondo conflitto. Le pagine scelte sono solo inviti, spunti, assaggi di percorsi che chiunque vorrà utilizzare questo lavoro potrà costruirsi a sua misura e a sua necessità.