ciclo di incontri - Novembre 1999
Quaderno n. 77
Un'idea di Europa: scenari possibili per l'Europa dopo l'ottantanove
Nazioni e nazionalismi
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Il fattore religioso e l’identità degli stati nazionali

Arnaldo Nesti


Fino a non molti anni fa, la religione veniva studiata   come un fatto che si identificava con le istituzioni ecclesiastiche e quindi si tendeva a indagarla nei suoi aspetti interni, in rapporto alla vita ecclesiastica, con un approccio fortemente ideologico per cui ogni rilievo critico al riguardo veniva letto come un affronto lesivo al depositum fidei in quanto tale. Sul versante “laico”, il dato  doveva essere letto come una variabile residuale o perché da subordinare al processo produttivo o comunque come un dato  marginale, in eclissi rispetto alla modernità, ai processi della società industriale. E’ all’interno di questo quadro che si comprende la considerazione paradossale di Stalin sulla irrilevanza della chiesa cattolica e del Papa, data l’inconsistenza delle sue divisioni militari.

All’indomani dell’89 appare invece ritornante, quali che siano le risposte al riguardo, la riflessione sul  ruolo delle religioni negli scenari nazionali, europei ed internazionali in genere. Dopo la crisi della cortina di ferro, Huntington è stato fra i primi a richiamare l’attenzione sulla cortina di velluto che si stava installando. Dopo il crollo del comunismo, i nuovi blocchi etico-culturali avrebbero svolto un ruolo basilare nello scenario geopolitico. In molti si è andati richiamando l’attenzione al ruolo di instabilità socio-politica provocata dall’Islam e dal blocco buddista-confuciano. Non voglio qui riprendere la discussione sui limiti di un tale impianto che si basava su una lettura aprioristica della compattezza delle realtà confessionali come l’Islam o il Cristianesimo, senza alcuna avvertenza a distinguere le differenze esistenti all’interno delle varie confessioni. Le minacce semmai sarebbero da percepire in modo trasversale, perché nuovi paradigmi, nuove affinità etico-culturali avvicinano e dividono il fenomeno religioso ben al di là dei referenti formali delle distinte confessionali[1].Qui mi preme prendere in considerazione i termini del rapporto fra religioni e identità degli stati nazionali, accantonando tutta una serie di problematiche anche affini, per affrontare il quadro di  talune situazioni della mappa geopolitica contemporanea.

1.Religioni e post-secolarizzazione

In questa sede si cercherà di riflettere sul senso della rilevanza politica che sono andate assumendo le religioni, sul significato della presenza delle religioni nello scenario politico. Alcuni brevi cenni preliminari per meglio cogliere il profilo del paesaggio in atto.

Qual è la situazione a livello europeo?

Non posso soffermarmi ad analizzare lo stato e il senso delle religioni civili. Non discuterò se in Italia esista una religione civile, cioè un insieme di simboli che i cittadini fanno propri, al di là delle religioni in senso proprio, per creare il senso della comunità. Al riguardo va tenuto presente che gli italiani, che si definiscono cattolici per oltre l'80% , hanno un senso del "noi" politico assai debole e questo si coniuga col familismo, col localismo: ognuno per sé e Dio per tutti è uno stereotipo fortemente diffuso. La pratica festiva non supera il 30%, con un pubblico prevalentemente femminile ed esterno alle fasce delle età centrali della vita. Diffuso è il deficit di etica cattolica in materia sessuale, l'accettazione di valori consentanei ai consumi, e, parallelamente, la diffusione di autoritarismo. E’ stato lo stesso cardinal Martini, in occasione della festa di S. Ambrogio a Milano, a chiedersi: "Chi l'ha detto che i cattolici, per vocazione, si debbano collocare fra i moderati? Dove sta scritto che un cattolico deve essere, nell'ambito politico, un moderato?". E'  vero, però, che lo schieramento del cattolicesimo ufficiale, in politica, è attestato su posizioni moderate.

Costante resta il senso di progressiva disaffezione alla Chiesa. Pensiamo a come, fino a pochi anni fa, specialmente in talune aree del nord italiano, compreso il bergamasco, il suono delle campane ritmasse la vita quotidiana, i periodi dell'anno, il lavoro dei campi. Tutta la vita era ritmata dalle stagioni rituali della Chiesa: la nascita, l'amore, la malattia, la morte. In ognuno di questi momenti interveniva pubblicamente la Chiesa, con sacramenti o riti. Oggi invece si fa dell'ironia se in meridione si fanno processioni propiziatorie quando da settimane non piove. Un tempo manifestazioni di questo tipo erano all'ordine del giorno. Con l'avvento della secolarizzazione, i soggetti hanno assunto decisioni sempre più autonome. Per arginare questo fenomeno, nel 1949, con l'emergere del movimento operaio e del Partito Comunista, la Chiesa intervenne con il Decreto di Scomunica. Effetto: i comunisti sono aumentati. Anno dopo anno, la Chiesa ebbe sempre meno rilevanza nello scenario pubblico.

Per fare un altro esempio, si ricordi la Sicilia degli anni de "Il Gattopardo", quando l'arcivescovo di Palermo era Ruffini. In base al suo modello ecclesiologico, l’elemento basilare dell’azione pastorale per garantire la peculiarità della cristianità siciliana, perché questa era la gemma da garantire e da difendere, doveva essere la lotta anticomunista, resa possibile dall’alleanza di tutte le forze anticomuniste contro la sinistra. A tal fine egli arrivò a stabilire un rapporto con il generalissimo Franco, ritenendo il suo regime il modello di società cristiana cui guardare e a cui ispirarsi.[2] L'unica sua preoccupazione era che i comunisti non stessero al potere e che fossero esclusi da tutto lo scenario politico, dalle cattedre universitarie, dai giornali. La chiesa siciliana, preoccupata per il “nemico ideologico”, teneva meno conto o addirittura sottovalutava i reali pericoli che si annidavano nella struttura siciliana, dominata dalle élites locali delle clientele e della mafia. Il sistema ecclesiastico trascurava altresì di prendere in considerazione le ambiguità della cultura dell’ “etica pubblica” che “non poteva darsi come scontata cristianamente neanche nel partito cattolico”.

Oggi questo disegno è nettamente sconfitto: è entrato in crisi il senso di un partito confessionale, ma il fatto peggiore è che, in seguito al voto di scambio e alla lottizzazione, è in crisi la stessa democrazia. La bassa partecipazione elettorale a cui assistiamo, oggi, non è un fatto da sottovalutare.

Un noto sociologo, parlando del Canada, ha affermato che "la credenza è andata in vacanza". Ciò è molto sintomatico anche per la realtà europea, dove si va diffondendo  un credere "a modo mio". Sempre più si consolida l'idea che la credenza non possa contare su un magistero assoluto.

Si assiste  ad un processo di privatizzazione e di frammentazione, ad una babele espressiva del credere

1.1.In Italia, il transfert etico?

In questo sfondo, nonostante tutto, la Chiesa  come istituzione è sempre più presente nello scenario pubblico, vuoi tramite i mezzi di comunicazione quali la televisione e i giornali, vuoi tramite la pubblicità, vuoi tramite l’azione di pressione esercitata dal Papa e dai vescovi sulle forze politiche. Si assiste quindi ad un pressing mass mediale  che non è la conseguenza della pressione coscienziale dei credenti, quanto delle strutture ecclesiastiche, quasi fossero una delle lobby, un singolare gruppo di pressione.

Peraltro, nello sfondo dei processi di globalizzazione che si rafforzano, con i grandi fenomeni migratori, con le innovazioni dei fenomeni interculturali, delle grandiose innovazioni tecnologiche, comprese quelle che investono  gli ambiti della ingegneria bio-etica, si assiste a sfide che riguardano gli stati, i gruppi e la coscienza dei soggetti.

Nuovi problemi sono posti dalla richiesta di legalizzazione delle droghe, dalle trasformazioni dell’intimità e quindi, da una parte, dalla domanda di pari opportunità fra i sessi, dall’altra dalle nuove problematiche connesse alla coppia e alle trasformazione della famiglia.

Con la crisi delle grandi ideologie politiche e degli stessi grandi partiti storici, si assiste alla crisi dello Stato e delle istituzioni pubbliche. Davanti a questo scenario, venuto meno il partito confessionale, si assiste ad “una scesa in campo” a livello mediale e culturale delle istituzioni ecclesiastiche. L’anno del Giubileo è un’occasione speciale per avvertire come la chiesa cattolica in Italia, per quanto minoranza sul terreno dell’esperienza religiosa dei cittadini italiani, sia una presenza significativa a livello della medializzazione. Le forze politiche, prive di un forte progetto di riferimento, usano tatticamente tutte le opportunità   per acquisire consenso. Diversi partiti presentano come piattaforma nuove maggioranze morali in nome della famiglia, la difesa della vita, la scuola privata. Il tradizionale appello “pro aris et focis” viene riplasmato in funzione sussidiaria delle istituzioni  statali accusate spesso di statalismo contro la libertà. La Chiesa tende a porsi come animatrice della società, ma il suo rientro pare affidato al tranfert dal religioso all’etico, al culturale.

A questo proposito, si pensi al fenomeno del Giubileo. Milioni di persone giungono in Italia: ma che rapporto c'è fra questo evento di massa e un evento di fede? Secondo alcuni, il Giubileo è un compromesso con la modernizzazione, un indulgere al trionfo della secolarizzazione. La Chiesa si fa spettacolo?

Ma quale modello di fede sottende? Fino a che punto una tale presenza si innesta in una prospettiva “missionaria” propria di una società dal pluralismo religioso? Ed anche in ordine alla stessa storia dell’esperienza religiosa degli italiani, quale paradigma fa proprio, quali i propri ancoraggi di riferimento?

1.2.Quale anima per l’Europa?

Il metodo Monnet risente troppo di modelli legati alle sorti magnifiche e progressive della crescita senza limiti, quasi fosse scontato che il secolo XXI sarà meno disastroso del XX in tutto il mondo e non solo nel nostro continente. Non sono dati  come scontati né la pacificazione economica dell’Europa né la pacificazione militare. Se non si vuole mettere a duro rischio la legittimità delle nostre istituzioni, occorre stabilire i fondamenti geopolitici della democrazia europea. La stessa questione della cittadinanza europea postula la messa a punto di nuovi significati di democrazia, di partecipazione, di responsabilità, di cultura civile. D’altra parte occorre fare ben attenzione ai segnali che pongono in evidenza come al federalismo solidale, gestito dagli stati nazionali, si affianchi quello etnico nazionale basato sul sangue e sul suolo, in base al principio “ciascuno a casa sua”.

Quale il ruolo delle religioni  nell’ambito del processo europeo in atto? Si è anni luce dall’Europa del “cuius regio eius religio”, ma anche da quella in cui una religione può attribuirsi le prerogative del monopolio anche in una sola nazione. Si è cittadini indipendentemente dalla religione. Va notato che le varie religioni, con le loro pratiche ed i loro rituali, sono spesso centrali nella totalizzazione simbolica ed istituzionale dell’etnicità e dell’identità nazionale. Non è un caso che i simboli religiosi vengano usati per le loro mobilitazioni, come la pulzella di Orleans da Le Pen in Francia o il Beato Basilio in Russia.

L'Europa si trova in una situazione di pluralismo, di provvisorietà, di incertezza, dove i cardini sono venuti meno e i partiti sono in crisi.  To give a soul for Europe” è il grido di Delors insistentemente ripetuto. Ma come?

In un intervento al R. Istituto per le Relazioni Internazionali a Bruxelles il 14.1.1987, il card. G.Danneels indicava che il ruolo della chiesa cattolica sul piano europeo poteva essere schematicamente indicato in tre punti. Prima di tutto la chiesa si propone come interlocutrice autonoma per aiutare “a trarre vantaggio, nella pratica, dalle trasformazioni e dai cambiamenti, per procedere verso un mondo sempre più felice”, aiutando a discernere i buoni dai cattivi usi. Secondo: la competenza della chiesa è di ordine essenzialmente morale. Questo ruolo che essa si ritiene da sola in grado di assolvere, non le deriva da una qualsivoglia disciplina, ma dalla volontà di Dio di cui essa traduce fedelmente il pensiero e la volontà.  Terzo: l’accento è  posto sul ruolo di mediazione morale della chiesa.

Non pochi teologi esprimono il loro disappunto sul prevalente intervento morale delle religioni, tramite i loro appositi organismi. “Le chiese - osserva Heinrich Fries - avrebbero anche oggi molte cose da offrire come luoghi di comunione solidali, di orientamento religioso e di riflessione sulle cose realmente importanti della vita. E’ davvero tragico vedere come questo capitale sia sperperato da istituzioni immobili”[3].

2. Ortodossia e nazionalismo  in Grecia

Una situazione di particolare interesse è costituita dall’ Ortodossia dei paesi balcanici. Spesso accade di coglierla relegata all’interno di un’ortoprassi liturgica di tipo quasi folclorico, addirittura una risorsa ideologica ed etnica di alcune nazioni. In tal senso rischia di essere associata ad un presuntuoso rifiuto e ad un isolamento di fronte ai valori della modernità. La sua tradizione e la solidarietà di ordine meccanicistico cui viene associata spesso paiono indurre alla deresponsabilizzazione personale e ad un prevalente fattore di appartenenza tradizionalistica. Interno  ad essa invece c’è un insieme di figure e di simboli  che propongono un modo nuovo di vivere la tradizione .

Specialmente nei paesi che hanno conosciuto i regimi comunisti e l’ateismo di stato, si cerca di affermare il diritto alla presenza libera della chiesa nello stato e la necessità di una cultura basata sui valori della tradizione religiosa, dell’Ortodossia. Stando anche al contributo di Ion Bria,[4] si possono distinguere quattro tendenze nella teologia ortodossa oggi: quella che fa leva sul modello mistico, quella del modello evangelico o fondamentalista, quella del modello liturgico e quella del modello conciliare. Secondo Bria, il  pensiero teologico ortodosso soffre oggi della mancanza di uno sviluppo dottrinale proprio  e di deboli contributi che non sono altro che ripetizioni della teologia tradizionale. Preferisce purtroppo ripetere le tradizionali formule invece di avanzare proposte attuali alle sfide teologiche del tempo.

La teologia  “ha perso la sua funzione critica, ha tollerato posizioni estremiste e perfino falsi insegnamenti di imperatori, di patriarchi e di autorità ecclesiastiche”. Questa teologia riflette un modello di società cristiana fondata sul modello di Costantino” ed è incapace di tracciare una distinzione fra chiesa e stato, e di delineare il nuovo posto della chiesa all’interno delle società che emergono. Bria tocca qui forse il punto più importante. Il comunismo ha escluso la religione dalla vita sociale; col suo fallimento, si reagisce con  una forte valorizzazione delle tradizioni religiose, riattivando un modello in cui la chiesa si intreccia con lo stato, con i gruppi sociali e con la cultura che lo sostiene. Uno dei fattori della crisi dell’ex Yugoslavia va cercato nell’aver sostituito al modello comunista un altro per cui in ogni stato sovrano  sarebbe dovuta esserci solo una religione. La religione avrebbe dovuto essere l’agente della plausibilità nazionale in base all’antica dottrina della sinfonia fra chiesa e stato. Questo rischia di alimentare una prospettiva etnocentrica come si è verificato nel Kossovo alla fine del Novecento. La battaglia del 1389 a Kosovo Poije contro i turchi e la morte del duca Lazar, vengono riscritti in termini biblici di una nuova alleanza fra Dio e Milosevic quasi egli fosse il Mosè del popolo serbo.[5]  La retorica dell’antica battaglia del 1389 avrà un esito nefasto sulla guerra del 1999.

Specialmente nel caso della Grecia è semplicistico affermare che la Chiesa difende la nazione e viceversa, sic et sempliciter, perché entrano in gioco altre variabili. Parlando dell'indipendenza della Grecia, per esempio, si è ritenuto per lungo tempo che, una volta riscattata dall'Impero Ottomano, essa avrebbe dovuto dar vita al nuovo Impero Bizantino, recuperando non solo i territori greci, ma anche parte dell'Asia Minore, legata alla tradizione cristiana dei primi tempi, alla predicazione di Paolo.

Dopo la formazione dello stato nazionale moderno, il nazionalismo è stato bagnato dall'Illuminismo  e dal Romanticismo europei.

Oggi è ancora molto forte in Grecia la concezione che la nazione greca non sia soltanto quella dentro i confini o quella della comunità greca sparsa nel mondo. Si pensa, piuttosto, ad una Grecia legata ai destini dell'Impero Bizantino e all'idea ellenica della Grande Grecia. E’ comprensibile, perciò, che quando pensiamo al problema dei rapporti fra stato e religione in questo paese si tratta di affrontare, ancor oggi, una mediazione complicata.

In Grecia c'è stato il periodo dei colonnelli e la Chiesa si è divisa al suo interno in posizioni profondamente distanti. C'era chi era con i colonnelli, chi con la democrazia, chi con la monarchia. Questo principio nell'articolazione storica assume forme differenziate e conflittive che si rinnoveranno anche negli anni successivi. La chiesa ha creato la propria mitologia promuovendo la sua immagine come bastione decisivo dell’identità nazionale greca nel corso della storia specialmente durante il dominio Ottomano. Questa teoria viene spesso usata oggi per confermare i legami fra ortodossia e identità nazionale greca ed opporsi ai tentativi di separazione fra chiesa e stato. Con tutto ciò non trova molto consenso l’idea secondo cui nazionalismo e ortodossia si connettano nella Grecia moderna al punto di dar vita ad un Commonwealth bizantino, per far fronte alle sfide contemporanee[6].E’ comunque un fatto paradigmatico che nella Grecia moderna ortodossia e nazionalismo siano inestricabilmente intrecciati. Non è un caso che in anni recenti, in connessione con l’ingresso della Grecia nella Comunità Europea, si sia richiamata l’attenzione su tendenze che sostengono l’esistenza di una speciale identità greco-ortodossa, basata sulla sua identità culturale che è espressione di un irrazionalismo mistico ortodosso, di un nazionalismo motivato religiosamente e di un separatismo da “resto eletto” rispetto all’Europa e al resto del mondo.[7]

Al momento attuale sono molte le manifestazioni dello stretto rapporto collaborativo esistente fra la Chiesa greca e lo stato su questioni di interesse nazionale. Qualsiasi iniziativa della chiesa la si considera spesso da un’angusta prospettiva nazionale. Lo stato si interessa principalmente di ottenere vantaggi da questa collaborazione e dalla promozione dell’ortodossia a livello mondiale, dando per scontato che essa sia veicolo dell’ellenismo  ed anche degli interessi nazionali. La questione che mostra meglio i risvolti nazionalistici che l’Ortodossia greca può acquisire, la si desume dal modo con cui lo stato continua a considerare i tradizionali patriarcati orientali. Non stupisce che il patriarcato di Costantinopoli sia oggi in mani greche e rimanga in stretta collaborazione con lo stato greco. Un altro esempio lo si può cogliere nel patriarcato di Gerusalemme che è controllato da una gerarchia ortodossa di origine greca, in stretta collaborazione con lo stato greco all’interno di una maggioranza di credenti locali di lingua araba. Questo conserva un forte carattere nazionale nelle sue attività e viene considerato come un bastione, in genere, dello spirito ellenico, nonostante le reazioni  in senso negativo della popolazione indigena ortodossa, anche in ordine al conflitto fra israeliani e palestinesi.[8]Problemi simili sono stati creati recentemente in Albania quando è stato eletto arcivescovo della Chiesa ortodossa locale, nel 1992, un eminente ecclesiastico greco, A.Yannoulatos. In un periodo di rinnovata tensione fra i due paesi, la nomina del vescovo greco è stata considerata, da parte del governo albanese, come un sotterfugio per ellenizzare la chiesa ortodossa albanese.

3.Il caso della Santa Russia

Vale la pena di ampliare lo sguardo sull’ortodossia russa. Dopo l’89 si sono manifestate due posizioni. Una ha ritenuto che la fine del comunismo significasse l’affermazione della democrazia e di un sistema politico fondato sul modello americano quasi che quello fosse l’unico e il possibile. Il contributo di Fukuyama ha ritenuto di poter sostenere con molta forza che con il crollo dei regimi comunisti la stessa storia potesse significare la sua fine. L’unico modello possibile sarebbe stato quello che veniva a trovare un suggello nel modello americano. L’altra, molto forte in ambiti ecclesiastici, ha ritenuto che con la fine del comunismo si sarebbe registrato un trionfo della Chiesa. Le profezie segretamente conservate per decenni si sarebbero palesemente verificate con l’affermazione del cristianesimo. Dopo anni di persecuzione, le Chiese avrebbero conosciuto un periodo di trionfo.  Al riguardo è opportuno segnalare come effettivamente nei paesi post-comunisti si sia cercato di recuperare diritti e privilegi del passato. Quasi che i settant’anni potessero essere cancellati con un colpo di spugna. Il patriarcato di Mosca e il clero, in forza di nuovi rapporti che si sono creati con il governo hanno recuperato importanza sul piano politico, con una deprivatizzazione della religione e il recupero della sua importanza sullo scenario geopolitico, producendo legami fra l’ortodossia e taluni blocchi culturali; con il rafforzamento del concetto di ortodossia come religione nazionale e con il conseguente rafforzamento delle norme che limitano le attività missionarie quali che siano, producendosi uno scontro fra libertà di religione e la protezione delle comunità indigene. In tutta l’Europa, specialmente in Russia, le chiese ortodosse hanno giocato  un ruolo preminente nella salvaguardia dell’identità culturale. Di fatto, nonostante la forte rivendicazione dell’ortodossia, è mancata e manca una seria autoanalisi che ponga di fronte ad un’attenta indagine circa la effettiva identità religiosa all’indomani del comunismo. In tutta l’Europa centrale ed orientale, la caduta del regime ha lasciato un drammatico vuoto di valori e di ideali che è stato rapidamente riempito dagli stili di vita della società di massa. Anziché il trionfo della spiritualità cristiana, in Russia e in tutti i paesi post-comunisti si assiste ad un travaglio drammatico. Dunque è mancata un’analisi circa la natura della religione ortodossa così come è diffusa. Il politologo Huntington afferma che il confine culturale dell’Europa è lo spartiacque storico che da secoli divide i popoli dell’occidente da quelli islamici e ortodossi. Cristianesimo occidentale, latino, e cristianesimo ortodosso apparterrebbero a due modelli diversi di civiltà, e là dove comincia l’ortodossia finirebbe l’Europa. Questa posizione nasconde un grave pericolo: quello di creare in Europa una nuova cortina di carattere culturale, sulla base di un’incompabilità di fondo fra tradizione europea occidentale e orientale ortodossa. Cortina che avrebbe conseguenze nefaste sulla possibilità di costruire un’Europa comune e raggiungere uno sviluppo politico, economico e culturale integrato per tutti i paesi del continente. Del tutto ingiustificata pare la riduzione dell’ortodossia a fattore culturale generatore di un diverso modello di civiltà. Importante oggi è la costruzione di un dialogo costruttivo con le società di tradizione ortodossa, per valutare concretamente i fini etici, sociali e spirituali che ci si propone di raggiungere. L’ortodossia ha una dimensione articolata e pluralista al suo interno. Noi riteniamo che, se l’ortodossia fa parte delle tradizioni diffuse dei popoli slavi, come deposito della cultura nazionale dei vari stati, questo è oggetto ben distinto e diverso da un’esperienza religiosa autonomamente scelta e vissuta. Esiste certo il pericolo che determinate correnti identifichino la tradizione ortodossa con un nazionalismo politico e culturale antioccidentale, il cosiddetto ortodossismo, ma questo non costituisce il quadro etico e culturale di fondo. La “Revanche de Dieu” come è stato chiamato il ritorno della religione nello spazio pubblico, se non chiarisce l’effettiva presenza del religioso, sta a indicare una discontinuità rispetto ai valori e agli ideali della modernità. In particolare, a ben osservare, sta ad indicare la ripresa clericale delle autorità ecclesiastiche, non già dei valori religiosi e morali con senso proprio. Accanto ai valori consumistici, resistono gli ideali dell’homo sovieticus. Debole appare il senso di responsabilità nell’esercizio delle pubbliche attività, debole il senso della pubblica moralità, debole il senso della personale autonomia. Indagini recenti pongono in risalto come sia superficiale l’atteggiamento diffuso nei confronti di quel continente. Mi riferisco all’indagine del Pastorale Forum di Vienna del 1998 condotta su un campione di 1000-1200 persone fra i 18 e i 65 anni in dieci paesi: Germania est,  Cechia, Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Lituania, Ucraina, Croazia, Romania, Polonia.

I paesi in cui più netta è la disaffezione religiosa sono, nell’ordine: la Cechia, la Germania est, l’Ucraina, l’Ungheria e infine la Slovenia.

Non indica alcuna appartenenza religiosa il 73% dei Cechi, il 72% dei tedeschi, il 68% degli ucraini, il 40% degli ungheresi. La modernizzazione induce effetti negativi verso la religione dappertutto, ma in Polonia il dato è particolarmente devastante. Di fronte ai grandi riti ovunque si assiste ad una diminuzione di partecipazione da parte della popolazione nata dopo il 1975.Ma il dato più sorprendente è l’emergere di una vera e propria “nostalgia di comunismo”. Il 53% del totale sui 10 paesi indagati ritiene che il periodo più felice dei decenni trascorsi sia quello “fra il 1945 e il 1989”con punte del 74,3% in Ucraina, del 60,7%in Ungheria, del 58,1 in Slovenia e in Slovacchia, del 55,5% in Lituania, del 50,6% in Germania Orientale. La nostalgia è motivata da motivi quali: la sicurezza per la famiglia, il lavoro e la vita sociale. ”Il pane è più prezioso della libertà” è stato ribadito. ”L’homo sovieticus è fortemente radicato nell’Europa orientale”.[9]

Nel suo libro “Derzava” (Potenza) il leader comunista Zjuganov illustra le proprie idee geopolitiche motivando come ogni forma politica per affermarsi necessiti di un nobile ideale “Per la Russia tale forza motrice è stata rappresentata dall’ispirazione a incarnare nella propria esistenza gli ideali di giustizia e di amore, di pietà e di misericordia, di fede e di fedeltà che fin dai tempi più antichi sono stati riflessi nel nome stesso che il Paese si è dato:   Santa Russia ”[10]

 Per la maggioranza dei russi, l’Ortodossia ha cominciato a svolgere un ruolo ideologico di simbolo nazionale e culturale. Eppure, nello stesso tempo, la religiosità istituzionale non raggiunge il 10% della popolazione e da allora non è aumentata. Eppure, in quelle stesse repubbliche, la vera religiosità della popolazione cresce molto lentamente e la religione viene considerata essenzialmente nel suo significato ideologico. Il paradosso di questa situazione tuttavia sta nel fatto che l’opinione pubblica in Russia ha conservato, in linea generale, il rispetto per la democrazia e i diritti umani, nonché la tolleranza nazionale e religiosa. Il crescente divario fra la effettiva coscienza religiosa e la politica(inclusa la coscienza politica di coloro che praticano la religione) e le direttive ideologiche della Chiesa porterà, a parere di molti, ad un conflitto aperto, a seguito del quale la Chiesa e la società stessa dovranno riconsiderare le proprie posizioni[11].Non vanno trascurate infatti le tendenze integraliste destatesi in alcuni circoli ecclesiastici e il loro impatto negativo sulla missione della Chiesa stessa nella Russia contemporanea. Che ne è della tradizione spirituale, ascetica e mistica? L’impressione costante che si ha venendo a contatto con il mondo ecclesiastico ortodosso russo è che gli ambienti ecclesiastici siano divenuti gli eredi del potere, dello stile, del linguaggio del Soviet Supremo. Sfugge o è accantonata ogni distinzione fra fede e cultura dell’Ortodossia. L’unica espressione ortodossa sta o viene garantita a Mosca. Costantinopoli è mera realtà archeologica.  Il mosaico etnico-culturale si frammenta sempre di più, complice l’intromissione ancor più destabilizzante, dai confini ancor più labili della religione. Accanto all’Ortodossia infatti l’Islam è la religione dominante nel Caucaso e in Asia centrale.

 La Russia non è comprensibile se non con la presenza della Chiesa Ortodossa. Il fatto curioso è che il Partito Comunista abbia assunto in Russia posizioni decisamente nazionaliste e tradizionaliste. Nella campagna elettorale del 1994, un parroco moscovita di nome Costantino Buffer ha pubblicato sulla Pravda del 14 giugno di quell'anno un articolo intitolato “Le nove ragioni per votare il comunista Djuganov. Perché un comunista deve votare Djuganov?’’ A suo avviso chi è fedele ai valori della patria russa e al destino del patriarcato di Mosca non ha altra alternativa al partito comunista, che è il garante della tradizione dell'Armata Rossa, della grandezza passata della Russia. Questo partito, che vuol salvare i grandi ideali della Russia, non può escludere i valori della Santa Russia.  E' curioso vedere come ambienti comunisti recuperano filoni culturali dell'ottocento  che in qualche modo valorizzavano questa sintonia tra Santa Russia e la Grande Russia. Putin, l’ex responsabile del V° Dipartimento del Kgb,l a sezione che si prendeva cura delle attività sovversive e religiose, insediatosi al Cremlino, ogni domenica si fa riprendere dalla TV mentre prega con la candela accesa, senza aver mai chiarito le sue posizioni, soprattutto senza mai aver chiesto scusa delle sue precedenti responsabilità.

Conclusione

 Alla fine del Novecento, contrariamente a quanto avevano previsto i teorici della secolarizzazione non si è verificato “il disincanto del mondo”; sono in molti a registrare il “brusìo degli angeli” (Berger), ma soprattutto una nuova rilevanza pubblica delle religioni che assumono un singolare ruolo di natura geopolitica. Il giudaismo, il cristianesimo, l’islam, il buddismo, nelle loro molteplici forme, sembrano svolgere un importante ruolo nello scenario politico. Nuovi movimenti e nuove forme religiose sembrano assumere una particolare forma di plausibilità. Si potrebbe dire che il religioso, in un tempo di crisi delle grandi ideologie, va d’accordo con il revival etnico-nazionale. E’ in questo sfondo che si manifesta la propensione a presentare le nazioni in termini di Urfolk, dentro categorie atemporali, immutabili, con un destino eterno. Di qui il senso del frequente uso di espressioni quali “la Croazia sacra”, ”la Serbia celeste”  che interpretano i conflitti sociali quasi fossero naturali, tra civiltà contrapposte.

Si verifica il paradosso che il nazionale e il religioso si rafforzano mutuamente, contrapponendosi simultaneamente alla secolarizzazione ed al secolarismo, ma anche all’universalismo, considerato troppo astratto, anemico ed egualitario. In Occidente le religioni tendono a rioccupare lo scenario pubblico, in un tempo di depoliticizzazione sempre più acuta, come tranfert della morale.

Occorrerà un lavoro attento e articolato di ricerca  ben al di là di ripiegamenti strettamente confessionali, recuperando il religioso in quanto risorsa simbolica, singolare fattore sociale che può contribuire alla regolazione in senso solidaristico del mercato, alla eticizzazione della politica, a rafforzare il senso di civismo, a “ridare un’anima” al mondo.

In questa sede mi sia consentito esprimere, a modo di conclusione, anche un auspicio, proprio all’indomani della richiesta di perdono per le colpe commesse dai cristiani: che lo scenario politico, e quindi il rapporto religione e politica, sia riattraversato da un “sussulto mistico”.

 Conversazione tenuta presso la Fondazione "Serughetti La Porta" il 20 gennaio 2000.

Testo rivisto dall’Autore



[1] Per una trattazione più organica mi permetto rinviare a A.Nesti, Una scommessa da viandante. Sulle religioni del futuro (in preparazione)

[2] F.M.Stabile, I consoli di Dio, Sciascia Roma-Caltanisetta,1999.

[3] Heinrich Fries, Di fronte alla decisione.  Le Chiese diventano superflue?, Brescia,Queriniana,1995.

[4] I.Bria, Time to Unfold Ortodox Theology: Problems and Ressources in Contemporary Trends, Thessaloniki,1996 (pro manoscritto)

[5] Milosevic non ha fatto che sfruttare l’esplosivo potenziale della falsa mitopoiesi connessa a quella sconfitta. Come è noto, quando sei secoli fa i turchi sfondando a Nord, vicino a Pristina, sul Campo dei Merli, sconfissero l’esercito del duca Lazar, la classe dirigente tradì fuggendo al Nord. A quel punto il popolo rimase abbandonato, a proteggere i monasteri rimasero le truppe del sultano e a coltivare i campi abbandonati arrivarono gli albanesi. Il mito della sconfitta  come santificazione del popolo serbo ha fatto da sfondo a generazioni di cantastorie. La Serbia, benedetta da Dio, aveva ricevuto la corona del martirio. vedi P.Rumiz, Nel mattatoio delle memorie, in  “La Repubblica” 31marzo 1999, p.13.

[6] V.Hydias, Balkaniki Koinopoliteia, Atene 1994

[7] Cfr.D.Kitsikis, I triti ideologia kai i Orthodoxia,Atene,1990.

[8] Un’ampia discussione sulla questione, ancora di attualità, si trova in D. A. Luidens, SelfPreservation and the Embattled Church: The Case of the Greek Orthodox Patrarchate of Jerusalem,in A.Shupe,J.K.Hadden(edds) The Politics of Religion and Social Change:Religion and the Political Order,vol.2,New York,1988,pp.207-238.

[9] M.Tomka8a e P.Zulehner,Religion in den Reforlaender Ost(Mittel)Europas,Schwabenverlag,Berlin 1999.

[10] G.Zjuganov La potenza come destino in “Lines”2,1996,46.

[11] S.Filatov, La religiosità post-sovietica: dall’eclettismo religioso alle fedi nazionali, Fondazione Agnlli,Torino,1999  (pro-manoscritto).

 

 

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