LA CHIESA E IL CONCILIO VATICANO II- 1 Febbraio 1984
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LA CHIESA E IL CONCILIO VATICANO II

MARIO CUMINETTI


Dirò alcune osservazioni su quello che è stato il Concilio Vaticano II iniziando con tre episodi che, per conto mio, rappresentano esemplarmente quello che è stato il Concilio nei suoi aspetti positivi ma anche meno positivi, soprattutto, e lo vedremo, nel non aver tenuto conto di una certa problematica.
Il primo è l'aspetto più positivo del Vaticano II. Si tratta della Costituzione sulla Chiesa, la Lumen Gentium. Se oggi interrogate un sacerdote o un laico di cinquanta anni su cosa sia là Lumen Gentium, cioè la luce del mondo, risponderebbe che è la Chiesa ed è una risposta probabile, accettata da tanti anche oggi. Invece nel testo Lumen Gentium non è la Chiesa, ma è Gesù Cristo la luce delle genti. E questo è un elemento positivo; cioè al centro non è più la Chiesa (anche se il Vaticano II è un Concilio ecclesiologico) ma è Gesù Cristo. E' un aspetto estremamente positivo, che costituisce uno dei cambiamenti più grossi del Vaticano II rispetto all'ecclesiologia anteriore.
Un secondo momento, esemplare di una certa tendenza e qui si vedono già di più gli aspetti positivi e quelli meno positivi, è il documento sulla libertà religiosa. Un testo importantissimo che evidenzia anche qui un grosso cambiamento nella vita della Chiesa. In fondo la posizione precedente, quella classica, riaffermata anche sotto Pio XII era quella che esprimeva che la verità è questa, è la nostra. Se siamo poi costretti, possiamo accettare a mo' di ipotesi altre situazioni; quando la Chiesa è in minoranza deve accettare questo, ma la verità è una sola ed è quella della Chiesa cattolica.
Il testo sulla libertà religiosa è un testo significativo voluto dai vescovi americani che sono coloro che hanno insistito di più per questo documento. Ed anche questo fatto è interessante e ci ritornerò; cioè il Vaticano II è stimolato non solo dalle riflessioni teologiche ma anche dalle condizioni sociali e politiche e culturali di gran parte del mondo per cui si coglie la pluralità e il rispetto delle varie confessioni e posizioni. E' un segno dei tempi anche se è un segno molto in ritardo; se volete ha significato accettare nel 1960 la lezione della rivoluzione francese. Ma ciò non toglie il fatto che sia stato un aspetto di cambiamento e di apertura positivi. Anche se credo che qui vi sia il più grosso limite teologico del Vaticano II, perché il discorso cristiano sulla libertà non è semplicemente il discorso civile, democratico della libertà religiosa in stretta identità con l'idea di tolleranza, tipico dei sistemi democratico-borghesi, ma è invece il discorso della libertà di Dio che è un discorso molto più forte o profondo perché è l'idea che il giudizio ultimo è di Dio; questo è un discorso cristiano. Ed è molto più dirompente rispetto al discorso della libertà religiosa che evidentemente deve essere fatto perché noi viviamo in una società laica.
Il terzo aspetto che probabilmente dimostra elementi carenti del Vaticano II è che all'interno del pur significativo documento della Chiesa nel mondo, non vi è nessun accenno alla conflittualità attraverso cui la coscienza umana si evolve e la società cambia. Conflittualità come qualcosa che fa parte della vita umana, dei modi, di crescere dell’uomo. Mentre nella ‘'Lumen Gentium" (ed è uno degli aspetti più positivi) c’è l'affermazione, nuova allora, della Chiesa che cammina in mezzo al mondo tra errori, oscurità, sbagli e riprese, pellegrina (assumendo di questo concetto tutto il suo spessore), a livello invece sociale o anche a livello di vita della Chiesa non si tirano le conseguenze. In fondo sbagliare comporta scontri, opinioni diverse; non necessariamente il conflitto è rottura dell’unità ma è un modo di vivere la crescita e la fede. Su questo non c’è nessun accenno nel Vaticano II e noi di questa mentalità porteremo le conseguenze nel post-Concilio, per cui di fronte alla conflittualità che scoppia la Chiesa reagisce negandola e allontanando chi portava conflittualità.
Ho portato questi tre esempi, prima di entrare in un'analisi dei testi, perché mi sembrano segnare tre momenti del Concilio Vaticano II: un‘acquisizione di un minimo di discorso cristologico in cui al centro ritorna Cristo e non la Chiesa, che è solo riflesso di Lui e ne è riflesso in quanto è fedele, l’accettazione di un certo discorso sociale, politico, laico di questa società ma in cui da una parte lo si accetta limitatamente (ecco la conflittualità che manca) e dall’altra, pur accettandolo, non si è capaci poi di fare l’altro passo del discorso teologico (la libertà del cristiano che non si esaurisce nella libertà civile: vedi a questo proposito il pensiero di Lutero). Quindi tre momenti che indicano tre acquisizioni, tre limiti del Vaticano II e dico questo non per voglia polemica, ma con la ricerca di una lettura possibile di luci e ombre di un fatto ormai storico. Personalmente credo che le luci siano state in questo Concilio molte più delle ombre, però con l'attenzione di precisare quanto ho detto.
Di fronte al Vaticano II penso esistano due tipi di lettura di cui a parer mio è legittima la seconda lettura (ma su questo discuteremo): una lettura "letterale" (prendiamo i testi e li leggiamo) e una lettura più complessiva. Io distinguo sempre quello che è stata la lettera dei testi e invece lo spirito del Vaticano II, quello che ha avviato, ha messo in moto.
Prendiamo la riforma liturgica: è chiaro che se guardiamo i testi del Concilio sulla riforma liturgica notiamo che non c’è quasi niente; si prevedono alcune traduzioni e poco altro ma poi lo spirito ha esigito e ha fruttificato nella riforma liturgica che abbiamo avuto negli anni immediatamente dopo, per cui dalla previsione di piccole traduzioni siamo arrivati alla traduzione di tutta la messa. Cioè giudicando il Vaticano II, ed è chiaro che poi qui avremo dei dissidi su questo giudizio secondo lo spirito perché chi era contrario evidentemente lo spirito lo interpreta in un altro modo, si deve tener conto che non c'è solo la lettera ma c'è da capire ciò che ha messo in moto, lo slancio, le forze, le contraddizioni anche positive che ha aperto, e quindi giudicarlo secondo un'ottica che va al di là dei testi presi letteralmente.

Io sono convinto che il Concilio sia andato al di là delle intenzioni primitive, sia di papa Giovanni XXIII, che però l’ha lasciato andare al di là, ma al di là anche delle acquisizioni teologiche di coloro che l’avevano preparato e che hanno scritto i testi. Cioè, rispetto agli estensori materiali dei testi che sonò, stati tutti teologi che negli anni Cinquanta erano stati condannati da papa Pio XII e che si sono insieme ritrovati a Roma durante il Concilio, i risultati della Lumen Gentium, della Gaudium et Spes, cioè della costituzione sulla Chiesa nel mondo, e della Dei Verbum, cioè il testo sulla Rivelazione, sono andati al di là di certi risultati che questi teologi avevano personalmente raggiunto.
Ripeto che ritengo importante cogliere un poco lo spirito perché se noi leggiamo i testi cogliamo anzitutto una serie di contraddizioni. I testi sono sempre compositi. Nelle commissioni che li preparavano vi erano teologi progressisti, teologi non progressisti (come si diceva allora), poi il testo passava ai vescovi; quindi le componenti erano tra le più varie, per cui ciò ha prodotto grosse contraddizioni. Vi sono pezzi che valgono poco (la seconda parte della costituzione della Chiesa nel mondo è veramente una serie di deduzioni della dottrina sociale che non hanno un grosso contenuto; come ad esempio il testo sulle comunicazioni sociali che a giudizio di molti non vale niente e di fatto non se n'è mai parlato), ma anche testi che hanno dato slancio come quello sulla riforma liturgica (per ciò che ha provocato), quello sulla Chiesa (Lumen Gentium), quello sulla Chiesa nel mondo (Gaudium et Spes) che è nuovo rispetto alla teologia precedente al Concilio, e quello sulla Rivelazione (Dei. Verbum).
Cercherò ora di mostrare a come si è arrivati a questi testi.
E' inconcepibile, a parer mio, il Vaticano II al di fuori del contesto sociale e politico di quel momento: gli anni intorno al '60.
E' il momento della distensione internazionale, di una ripresa di colloqui, gli anni di Papa Giovanni, Kennedy e Krusciov (che viene a Roma); Gronchi, presidente della Repubblica, che va a Mosca con grandi polemiche sui giornali, cioè è il momento del disgelo con un clima sociale e politico più tollerante. In Italia muove i primi passi il dialogo cattolici-marxisti, si dibatte e inizia il centro-sinistra. Rispetto al dopoguerra si è in una situazione molto diversa. E al di fuori di questa situazione non è comprensibile il Vaticano II: viene non a caso, ma in questa atmosfera di colloquio e di dibattito tipica di quella stagione e che bisognerebbe tener presente molto di più quando si tenta una lettura del Concilio.
L'altro fatto è questo: l'accettazione, all'interno di un certo mondo teologico che è soprattutto quello francese degli anni Cinquanta, ma con qualcosa pure in Germania e poi durante il Concilio in Olanda anche se il boom teologico di questa Chiesa è negli anni Sessanta, della storicità della verità. Che cosa vuol dire questo fatto? Questi teologi (in particolare Congar, Chenu, De Lubac, Rahner, lo stesso Ratzinger) erano quelli che, facendo propri i risultati della cultura filosofica, laica, accettano la storicità, della verità. In fondo il discorso del modernismo, che era stato il primo sforzo all'inizio del novecento da parte di certi teologi cattolici di fare i conti con i risultati delle scienze sociali di allora, e che era stato chiuso e non affrontato da Pio X, è ripreso da questi teologi. Cioè si articola il pensiero che il modo con cui la Chiesa vive, con cui definisce gli stessi suoi dogmi, è un modo che dipende dalla situazione storica, dalla posizione della Chiesa, dagli strumenti intellettuali che essa ha.
Quindi la verità è sempre comunicata attraverso un metodo che è pieno di storicità. Tutto questo sforzo significava, in fondo, riprendere contatto con la cultura contemporanea ed era stato portato avanti dai teologi, soprattutto quelli francesi degli anni Cinquanta.
Ancora una volta si coglie come il Concilio non sorga all'improvviso: fa i conti con una situazione sociale e intellettuale del tempo e la Chiesa, direi, li fa in estremo ritardo. Il Vaticano II praticamente acquisisce questo fatto, e qui è significativo (ed è il grosso ruolo avuto da Papa Giovanni XXIII) che quei teologi esiliati da Pio XII, allontanati dalle cattedre di insegnamento (pensiamo a Congar, lo stesso De Lubac, notissima è la vicenda di Theilard de Chardin), e che non avevano partecipato alla preparazione del Concilio perché quando inizia i testi erano già pronti, preparati da commissioni formate prevalentemente da teologi romani, rientrano in modo pieno nel dibattito teologico conciliare.
Cosa era successo? avviene che nella prima sessione del Concilio, che è quella decisiva e cambia le prospettive, questi testi sono rifiutati dall'episcopato i cui leaders erano i vescovi occidentali (in particolare della Germania, dell’Olanda e della Francia). A parer mio, la maggioranza dei vescovi, basta vedere quelli italiani, che come mentalità eran quasi tutti contro il Concilio (una buona metà è contro pure oggi), fu trascinata da questa leadership. Papa Giovanni XXIII accetta le posizioni di questi vescovi, li sostiene, accetta che siano respinti questi testi, e convoca a Roma, tra la prima e la seconda sessione del Concilio, tutti questi teologi, Danielou, De Lubac, Rahner ecc., che cominciano a lavorare attorno a nuovi testi. Cioè la svolta l'abbiamo in quel periodo: io in quel periodo ero a Roma e tra l’altro stavo lavorando con padre Congar e quindi lo vedevo spesso.
Accettazione dunque non di una nuova teologia ma della teologia sviluppata negli anni precedenti.
Il terzo aspetto è l’accettazione di un altro fatto tipico della società moderna che è la democrazia. La democrazia all'interno della Chiesa è un po’ difficile da fare, però se tenete presente alcune delle affermazioni su cui si lavorò molto dopo il Concilio (la collegialità episcopale, tutti i tentativi di tradurre questa collegialità a livello di diocesi, i consigli presbiterali) si nota come siano in fondo il segno di questa ricerca di collegialità. D’altra parte il clima esterno condizionava anche la Chiesa: si trasferivano in essa anche certe forme avanzate di strutture sociali che sono il riflesso di una certa società. Paolo VI bloccherà poi subito dopo questo fatto ricordando che il Sinodo dei vescovi è un organo solo consultivo, come lo sono in fondo i vari consigli presenti nelle diocesi.
D’altra parte la crisi di questi organismi ecclesiali è andata di pari passo alla crisi delle istituzioni simili presenti nella società civile. Ancora una volta dunque si manifesta il tentativo di adeguarsi, con estremo ritardo, con limiti e ingenuità, alla società contemporanea. Però capite cosa questo significava, all’interno di una struttura accentrata come quella della Chiesa. Ecco perché dico che è importante cogliere lo spirito, perché la gente che recepisce questi testi, soprattutto quelli che avevano sofferto sotto Pio XII, li vedono davvero come un cambiamento radicale all’interno delle prospettive ecclesiali di allora.
Veniamo ora ai contenuti. Quali sono quelli innovativi?
Ho già accennato al fatto della liturgia (dal latino alla lingua volgare) con lo sforzo di far partecipare tutti all’evento liturgico. Se sia riuscita o meno lo vediamo ogni domenica. E' interessante vedere una delle critiche che fu fatta immediatamente negli anni dopo il Concilio e cioè che lo. sforzo di adeguamento della liturgia non era possibile ridurlo a una traduzione letterale dei testi. Proprio per il discorso che si faceva prima e cioè che quei testi corrispondevano a una cultura, a un modo di esprimersi, a un mondo, che non era più quello del 1960. Allora, nel 1966-67, questa critica fu presa male. Adesso, con il Messale nuovo che è stato fatto, questo discorso è stato fatto proprio dicendo che non è possibile ridurre l'aggiornamento della liturgia a una traduzione, ma bisogna creare dei testi che corrispondano al modo di pensare, alla vita dell’uomo d’oggi.
Quelli erano testi, se vi ricordate, che riflettevano la situazione di allora, per cui le preghiere erano indirizzate soprattutto al mondo agricolo-contadino. Oggi credo che la trasformazione sociale ed economica pone anche la preghiera in contesti diversi da quelli precedenti.
Al di là di questo fatto, che cosa significava la riforma liturgica, al meno nello spirito?
E' il tentativo di affidare a tutti la gestione di una cosa che era di tutti. Da una liturgia solo clericale a un evento liturgico vissuto e celebrato da tutti, e credo che su questo siamo ancora abbastanza lontani. Il senso profondo era la realizzazione della chiesa come. "comunione" proposta poi nella Lumen Gentium. Quindi non più la Chiesa come "società perfetta" a modello degli stati occidentali.
E' significativo come il testo sulla Chiesa elaborato dalla Commissione preparatoria del Vaticano II e che poi fu respinto dai Padri nella prima sessione proprio parlasse ancora di Chiesa e Stato come due società uguali, perfette nel loro ordine, con fini diversi che si confrontano.
Questa logica fu respinta e si arriva all’idea di Chiesa come "comunione", comunione dei fedeli. Oggi, ma lo vedremo in seguito, l'ecclesiologia è già su altre posizioni, però, lo accenno adesso data l’intima unione con il discorso sulla liturgia, è significativa l’idea di Chiesa come comunione di varie persone di cui la proprietà fondamentale è di essere uguale. La divisione gerarchica è un momento secondario, che viene dopo ma il momento primario, fondamentale, comune a tutti è quella di essere fratelli. Ed è stata una grossa acquisizione. E se c'è una differenza è la differenza nella capacità di rispondere alla Parola di Dio che chiama, ed è una differenza che dipende quindi primariamente dalla santità, dal ruolo che si ha.
Uno dei grossi dibattiti che avvenne nella seconda sessione del Vaticano II era la disposizione e l’ordine dei diversi capitoli, disposizione che certo coinvolgeva il significato ecclesiologico e teologico che si aveva. I primi capitoli della Lumen Gentium sono: capitolo introduttivo “Cristo, luce delle genti di cui la Chiesa è segno e sacramento”; secondo: “Chiesa come popolo di Dio”; terzo: la gerarchia.
In una stesura, primitiva (prima c'era il testo che parlava ancora della Chiesa come società perfetta in rapporto con gli Stati) l’ordine non era questo ma era invece: 1° Chiesa come sacramento; 2° Chiesa come gerarchia; 3° Chiesa come popolo di Dio. Ci fu un grosso dibattito in cui fu deciso di spostare il terzo capitolo “Chiesa come popolo di Dio”, prima della Chiesa come gerarchia. Purtroppo fra quelli che erano contrari vi era l'attuale Papa (Giovanni Paolo II) che come sapete insisteva sull’idea di Chiesa come società perfetta e non leva di questi cambiamenti. E’ un dato di cronaca che non vuole essere polemico.
Voi capite l’importanza di questo cambiamento. La dimensione primaria, fondamentale è questa: essere tutti uguali di fronte a Dio che chiama, poi all'interno di questa uguaglianza l’eventuale diversità sta nel modo di ascoltare e rispondere. Girava molto in quegli anni un'espressione tipica di Karl Rahner, cioè quella del cristiano come "uditore della parola". Se esaminiamo alla lettera il testo non sapendo per esempio che vi fu una grande grossa discussione che portò a questo importante cambiamento dell’ordine dei capitoli, è chiaro che capiamo poco dello "spirito" del testo. Direi, allora, che il Concilio Vaticano IÌ veramente si presenta come un concilio ecclesiologico, pastorale come lo voleva Giovanni XXIII, nel senso "cosa deve fare la Chiesa, come deve comportarsi”.
Vi leggo ora un intervento di un vescovo nella prima sessione perché mi sembra molto indicativo. Si dibatte ancora sul testo che poi fu rifiutato e si cercava di precisare che cosa si voleva dalla Costituzione Lumen Gentium e un vescovo disse: “se la Chiesa è avversata da molti oggi, ciò deriva dal nostro modo di proporla e in questo tutti abbiamo sbagliato. Ecco il mondo oggi si aspetta che cosa la Chiesa radunata in Concilio dirà di se stessa. Il mondo interroga così la Chiesa: che dici di te stessa? Tenendo conto di queste esigenze, che diremo? Benché contenga elementi positivi, il testo (il primo, quello respinto) non risponde a queste aspettative. Desidereremmo infatti che la dottrina della Chiesa che deve essere stabilita da questo Concilio mostri la Chiesa come imbevuta di spirito evangelico, cioè spirito aperto, veramente cattolico, missionario, spirito di umile dedizione e servizio”.
In questo spirito si arriva alla stesura dell’attuale testo della Lumen Gentium ed è chiaro che se la Chiesa vuole svolgere questo ruolo anche l’immagine della Chiesa deve mutare.
Dopo la liturgia, altro testo significativo del Concilio è il documento sulla Rivelazione. Contiene due cose nuove: una molto tecnica ma importante. Dopo la crisi e la separazione protestante c’era stata la grossa discussione del primato alla Bibbia o alla tradizione: qui si afferma che le due cose hanno pari dignità. Dove l’idea di tradizione è l’idea della vita della Chiesa e non solo le definizioni dogmatiche che la Chiesa esprime. Ed è chiaro che solo nella Chiesa è possibile leggere la Bibbia. Esiste una circolarità profonda tra la tradizione così intesa e la Bibbia.
L’altro aspetto che forse fu meno sottolineato allora ma che, a parer mio, costituisce l'aspetto più importante del Concilio è la concezione della verità che c’è nella Dei Verbum. Mentre il modo con cui si concepiva la verità neIla tradizione cattolica dal Medioevo in su era intellettualistico, cioè la verità è "adaequatio rei et intellectus", quindi la trascrizione precisa attraverso una proposizione di quello che è la realtà, in questi testi si ritorna all'interno di una concezione biblica di verità cioè la verità come evento, come fatto: "Dio disse e la parola fu": ecco la verità. La verità come morte e resurrezione del Cristo: è un fatto che crea qualcosa di nuovo.
Si arriva cioè a una visione più personalistica e meno intellettualistica della verità. Con ciò non si scarta la trascrizione dei concetti, però la verità appare come l'evento della morte e resurrezione di Gesù Cristo.
Voi capite che rispetto a quanto dominava nella Chiesa cattolica, questa concezione determinava un cambiamento radicale anche a livello ecclesiologico. Una visione di Chiesa non come totale detentrice della Verità ma una Chiesa che cammina verso la verità, lentamente, senza mai comprenderla tutta adeguatamente, ma in continuo sforzo di coglierla insieme agli altri in modo parziale e provvisorio. Per cui una concezione dinamica della verità. Ed è un grosso cambiamento. Se volete, la discriminante tra le due correnti del Concilio, "progressisti" e "tradizionalisti", è proprio questa: l’accettazione della storicità della verità e quindi di questo modo di concepirla.
E voi capite ad esempio come tutto il dibattito post conciliare avviato da Hans Kung sull'infallibilità del Papa è legato proprio a questa concezione. Dire infallibile con una concezione intellettualistica della verità vuol dire una cosa, dire infallibile con una concezione più personalistica e diciamo più biblica, vuoi dire un’altra cosa. In fondo Kung faceva questo sforzo. Questa visione non genera solo una concezione diversa ma anche un atteggiamento estremamente diverso. Questa è la Dei Verbum che, a parer mio ma non solo a parer mio, è il testo che ha rotto di più con una certa mentalità presente all’interno della Chiesa.
Capite l’altro grosso cambiamento che avviene nel Concilio. Non lo trovate scritto così come lo dico io, però è interno all’altro grande testo, quello sulla Chiesa nel mondo. Per capire questo grande cambiamento occorre rifarsi alla mentalità esistente e dominante prima del Concilio, per cui c’era Dio - Chiesa - mondo. Era cioè la traiettoria con cui si intendeva il compito della Chiesa. A parte che proprio per la non storicità della verità, la Chiesa era il Regno di Dio, mentre il Concilio dice che la Chiesa tende al Regno di Dio, la Chiesa è nella verità, non è la Verità. Il cambiamento che avviene nel Concilio anche in seguito al testo della Gaudium et spes è questo: è Dio che crea il mondo e vuole salvo il mondo ed è la Chiesa lo strumento che Dio usa per la salvezza del mondo. Quindi Dio - mondo - Chiesa.
E questo è davvero un altro grosso cambiamento: Dio che vuole la salvezza del mondo. Non è che Dio vuole la Chiesa. E il problema primo è quindi l’uomo, la sua salvezza, per la quale Cristo muore.
L’uomo, il mondo, come primo piano. Poi la Chiesa come strumento per la salvezza del mondo. Quindi non più la Chiesa vista per se stessa che poteva perciò diventare società perfetta perché era una realtà compiuta in se stessa, adesso invece è vista per il mondo ed è giudicata se è capace di annunciare la salvezza nel mondo. Questo è il suo compito.
E ciò viene fuori da quell'altro grande testo del Concilio che è la Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. 0 almeno la sua prima parte, ma io direi che anche questa parte forse può essere criticabile. Fu scritta e determinata dall'impostazione di padre Danielou che divenne cardinale e assunse poi una posizione piuttosto chiusa.
Occorre ora fare una parentesi sui teologi che hanno preparato il Concilio, perché questi teologi con i vescovi e cardinali che hanno avuto la leadership sono stati successivamente quelli più contrari alla conflittualità avvenuta dopo. 0 meglio, la prima conflittualità l’hanno accettata ma i passi successivi per far avanzare certe posizioni esplicite del Concilio non sono stati fatti e sono stati da certi teologi contrastati. E' interessante ad esempio vedere come oggi la leadership episcopale non sia più occidentale ma sia invece dei vescovi del Terzo Mondo o come alcuni teologi prima inquisiti o infastiditi, abbiano poi dovuto arrestare la loro ricerca teologica o cercato di frenarla.
Ritorniamo alla Gaudium et Spes. Questo testo non era neppure pensato all’inizio; non si prevedeva un testo di questo tipo. Viene fuori anche per l’iniziativa del Cardinal Montini (un altro che ha avuto un grosso ruolo nella prima sessione; nella seconda era già Papa). Caduta l’impostazione dì Chiesa come società perfetta, contrapposta allo Stato (non al mondo che come entità non esisterà), caduto questo si coglie il luogo storico, appunto il mondo, in cui la Chiesa si muove e nasce questo testo che è nuovo perché pone la Chiesa in maniera diversa. L’inizio è veramente indicativo e significativo ed è uno dei fatti più belli, a parer mio, del Vaticano II: "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono le speranze, le tristezze, le angosce della Chiesa". La Chiesa cioè che, sotto questo aspetto, si identifica con il mondo, per cui essa non è più qualcosa di assoluto ma è attraversata dal mondo, Chiesa che nelle epoche storiche varia la sua immagine, la sua problematica, la sua etica, la sua teologia e liturgia, rispetto al mondo perché il mondo l’attraversa. La Chiesa è nel mondo e questo cambiando obbliga la Chiesa a ripensare se stessa. Non è dunque la Chiesa che insegna al mondo, ma qui nel testo è la Chiesa che fa proprie le speranze del mondo con le sue. Diversamente da come succederà poi in molti testi pontifici legati all’idea di chiesa che si piega sul mondo, che ascolta il mondo e lo consola con le proprie risposte. Qui invece no: le attese degli uomini d’oggi sono quelle della Chiesa e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel suo cuore. La prova decisiva è allora quella dell’umano, essendo umanità la Chiesa stessa che annuncia che Cristo è morto per tutti.
La Gaudium et Spes è divisa in due parti. La prima, di introduzione generale, la seconda parte, come diceva Alberigo allora, a strato "sociologico" sulla famiglia, sulla pace ecc., che dà informazioni positive ma seguendo il metodo normale della dottrina della Chiesa.
La prima parte resta comunque uno sforzo notevolissimo. L’ha stesa soprattutto Danielou che aveva al centro della sua concezione, tipica allora e che era anche avanzata, il problema di scoprire il cuore dell'uomo perché è dal cuore dell'uomo che si muove tutto. Questa visione antropologica importante rischiava di minimizzare tutti gli apporti delle scienze umane e sociali della nostra epoca e quei teologi che pure avevano compiuto grossi passi avanti mostravano la loro debolezza. Erano cioè ancora distanti da un vero colloquio con la cultura contemporanea. 0 l’avevano fatto solo sotto l’aspetto filosofico, ma il confronto con la psicanalisi, con lo stesso marxismo, con la sociologia mancava totalmente. La teologia post-conciliare comincerà invece a fare questi confronti e allora i cambiamenti che si esigeranno saranno molto più profondi e alcuni di questi personaggi decisivi al Concilio si spaventano e cominciano a mettere in guardia.
Questi in sintesi, sono gli aspetti fondamentali del Vaticano II: è l’ecclesiologia che cambia, ma è un’ecclesiologia che fa i conti almeno un poco con il mondo contemporaneo. Non è solo un discorso teologico, ma investe anche la svolta di una certa società e un certo sviluppo (siamo negli anni Sessanta, gli anni del boom economico), bene simboleggiato dalla costruzione del nuovo seminario di Bergamo. In fondo la mentalità di chi l’ha costruito non prevedeva la crisi economica (altrimenti non si faceva questa opera faraonica). E’ pure vero che a questa logica erano legati anche i più aperti, a volte incapaci di fare i conti con questa società. Basta leggere a questo proposito la seconda parte della Gaudium et Spes, dove si affronta il discorso economico e sociale per cogliere gli evidenti limiti. Però con questa concezione della verità come qualcosa verso cui ci si avvicina, che non è posseduta, della Chiesa come comunione e quindi incontro di uomini diversi, della gerarchia che è interna ed è al ser vizio, della liturgia come celebrazione comunitaria, con tutte queste intuizioni si sono avute grandi possibilità per andare avanti, e questi aspetti positivi aprono delle porte che sembrano chiuse.
Ciò che negli anni Cinquanta non si pensava possibile diviene invece motivo di discussione e di confronto. I cristiani si sentivano finalmente cittadini del mondo, non solo della Chiesa, quindi come tutti gli altri, pur avendo un messaggio da annunciare perché Dio vuole i credenti nel mondo. E qui si prepara tutto il discorso sulla laicità che si svilupperà solo dopo il 1975, ma che già si configura come dimensione fondamentale dell’uomo: il cristiano cioè deve essere seriamente impegnato a vivere a pieno l’umano che è in lui. E questo era davvero, per gli anni Cinquanta, un grosso capovolgimento. Grande merito del Vaticano II fu di raccogliere ed iniziare questo cammino.

Il postConcilio
A mio parere il postconcilio ha individuato quattro problemi. II primo riguarda i limiti del Concilio stesso, che è un Concilio compiuto da vescovi occidentali. Il secondo è un problema lasciato aperto dal Vaticano II e riguarda il vivere la fede in un mondo che almeno in occidente (e qui sorgono difficoltà di grosse differenze con un certo mondo latinoamericano, con un mondo africano e asiatico) è secolarizzato. Sottolineo questo fatto per il tipo di problematiche occidentali, diverse da quelle degli altri continenti, per dire come non si possa parlare di una Chiesa omogenea a livello teologico e di prassi pastorale. Il terzo problema riguarda il metodo induttivo apertosi ed utilizzato dopo il Vaticano II. Il problema della secolarizzazione non fu preso in considerazione dal Concilio Vaticano II. Infatti non si parla di secolarizzazione, tranne alcuni accenni, come non si parla di evangelizzazione. Il tema dell’evangelizzazione può sorgere per due motivi:
a) perché c’è della gente non evangelizzata (questo, è un problema tipico di un certo terzo mondo).
b) perché c'è l'abbandono del cristianesimo Per noi in occidente il problema è come vivere la fede in un mondo in cui l'orizzonte religioso non è più quello di prima, non è più una realtà scontata. E' il problema della secolarizzazione.
Essere cristiani in occidente negli anni Cinquanta-Sessanta significava avere .una visione del mondo abbastanza unitaria, che dava un’identità precisa non solo al credente ma anche al non credente. Tuttavia questa Weltanschauung è caduta con la secolarizzazione ed è un fatto positivo. Quando si è voluto applicare la sociologia della conoscenza o il metodo storico alla teologia e alla lettura “cristiana” della realtà, si è compreso come l’origine di certe visioni bibliche e di certi aspetti teologici derivi da realtà storiche precise. La fine dell'ideologizzazione della fede fa sì che ci troviamo di fronte al bisogno di capire di nuovo come vivere la fede e di ritrovare alcune direttive che situano la personalità del credente all’interno del mondo.
E' crollato un certo tipo di identità, fondato su un certo tipo di ideologia religiosa e non di fede. A questo non basta dare una risposta solo culturale, ma vitale ed esistenziale. Il modo normale con cui un credente si poneva ed agiva nel mondo era determinato da un punto di partenza sui valori religiosi. Ora si è scoperta la radice umana di questi valori, ci si è accorti che questi valori, ritenuti esclusivi, sono comuni con altri valori degli uomini, anche non credenti. Questa scoperta è accaduta, sia come riflesso della secolarizzazione che come contributo della Gaudium et spes, che ha avviato il processo di incarnazione nel mondo. Questo documento tuttavia resta ancora all’interno di una certa dottrina sociale della Chiesa che pure il Concilio aveva cercato di superare soprattutto nella seconda parte. Soprattutto, la Gaudium et Spes è stata carente nell’analisi del mondo. Il problema è quello di definire quale mondo è qui ed ora, mondo è quello di 50 anni fa, mondo è quello del Terzo Mondo, etc. Insomma esiste sulla nostra terra una pluralità di mondi e di modi di vivere la fede sia per i diversi contesti, sia per i diversi modi in cui un messaggio si può situare, per esempio la teologia della Liberazione è un modo di situarsi all’interno del Terzo Mondo, diverso da altri mondi culturali. Ci sono quindi problemi che comportano una frantumazione della concezione universale della Chiesa come ci è pervenuta, come un tutto omogeneo in cui il modo di vivere la fede, di fare teologia, di celebrare il Cristo morto e risorto doveva essere dappertutto uniforme. Di fatto in situazioni diverse si vive la fede in modo diverso e si assiste a una "frantumazione" di modelli di Chiesa. Bisogna quindi trovare un modo su come vivere e comprendere il Cristo morto e risorto nell’ambito di queste diversità? Bisogna approfondire il senso della Chiesa così da scoprire come l’unità nella fede possa sussistere all’interno di queste diversità, come sia possibile proclamare il Cristo in un mondo sempre più frantumato. Uno degli effetti positivi del Vaticano II è stato di non parlare più della Chiesa, ma delle Chiese: ciò ha significato l’inizio di una maturazione più profonda dell’idea di unità e di universalità.
L’altro aspetto legato alla secolarizzazione apparso negli anni del postconcilio è quello dell’evangelizzazione. Come annunciare la lieta novella in un mondo dove l’orizzonte religioso non è scontato, non è, al vertice? Evangelizzazione non è solo un fatto intellettuale, non è un nuovo modo di fare catechesi: come spesso in Italia si è confuso (la catechesi la si fa a chi è già credente), l'evangelizzazione comporta un nuovo stile di vita della Chiesa: qui si tratta di trasmettere la fede in tutta la sua purezza e non solo come concetto o peggio come ideologia. Ciò significa un nuovo modo di vivere di fronte a Dio, l’accettazione della sua salvezza, il vivere nella gratuità. L’evangelizzazione comporta non solo un ripensamento sulla teologia, ma una radicale modifica nello stile di vita basato su gratuità e povertà. E qui escono alcuni concetti espressi dal Concilio come quello della povertà della Chiesa, della donazione...
Qui sarebbe tutto da ridiscutere perché ci troviamo di fronte a una Chiesa che ancora vive parassitariamente dei frutti concordatari e si presenta come istituzione ben lungi dal porre un’autentica evangelizzazione. Le Chiese che si sono veramente rinnovate sono state quelle del Terzo Mondo, perché non avevano nulla da perdere ponendosi in un orizzonte di vera gratuità. La secolarizzazione ha rotto una certa impostazione della Chiesa, imponendole non solo una riflessione teologica e ideologica, ma un nuovo stile di vita.
Il nostro stile di vita acquisito e dimostrato nelle parrocchie tradizionali non era altro che lo sforzo di confermare nella fede i credenti (perché si nasceva credenti) sviluppando una fede sempre più forte e viva. Ora invece si tratta di comunicare con uno stile di Chiesa nuova. Uno dei discorsi del Vaticano II, andato poi in fumo soprattutto in occidente, fu quello della Chiesa dei poveri, della povertà della Chiesa. Condizione per un servizio autentico all’uomo e quindi per l’evangelizzazione, deve essere la povertà: al di fuori di essa nascono rielaborazioni culturali ideologiche e culturali, di efficacia nulla e sterile, del messaggio cristiano.
Il terzo aspetto, legato alla secolarizzazione e ai problemi aperti di ecclesiologia, è lo spostamento avvenuto sulla concezione della Chiesa dopo il Vaticano II. In seguito anche alla riflessione cristologica, avviatasi dopo il Vaticano II, quale momento forte della teologia, l’accentuazione del Regno ha condotto a un modo diverso di concepire la Chiesa. La Chiesa non s’identifica con il Regno.
La. Chiesa tende verso il Regno. Siamo quindi in una marcata visione escatologica. La Chiesa quale comunione è un aspetto importante ma secondario a quello dello sguardo di tutta l’umanità che tende verso il Regno. Tutto quindi è visto in rapporto al Regno, la Comunione sorge appunto come forma di tensione al Regno. L’affrontare questi problemi comporta un nuovo modo di ripensare la struttura della Chiesa. Oggi, a livello istituzionale, abbiamo la Santa Sede, la diocesi, la parrocchia. Ma altri tipi di comunità, come le comunità di base, sono un modo più libero e adatto all'uomo di pensare la Chiesa. Ciò comporta una diversa visione dell’istituzione della Chiesa e dei rapporti all’interno di essa.
I nuovi ministeri diffusi nel Terzo Mondo, con il fenomeno di declericalizzazione della Chiesa, necessitano di essere riconosciuti e di vedere la strutturazione della Chiesa in modo nuovo. Questo è un modo di pensare induttivo che parte dalla realtà e si chiede come vivere la fede in questa situazione.
Prima c’era una fede ben costruita nella teologia e nella dottrina sociale cristiana che doveva essere calata nella situazione. Oggi è dalla situazione che si parte e ci si interroga su come vivere in rapporto al Cristo. La maturità sta nell'affermare la stessa fede in situazioni diverse.
Uno dei grossi problemi è quello di tendere da un ecumenismo tra soli cristiani a uno tra credenti in Dio. Come vivere un rapporto con Dio? E' possibile trovare un “quid” comune alle diversità d’espressione religiosa? Il passo in avanti di questa fede che si sviluppa a livello mondiale rispetto all’ecumenismo tra cristiani, è il riconoscimento di una comune ricerca di Dio. Esiste certo anche il problema della differenziazione storica. La punta più avanzata nello sforzo di ecumenismo in senso universale è nei monaci che cercano un aggancio e un'unità.
Un ultimo problema, irrisolto e subìto dal ’65 in avanti, è il rapporto tra movimenti e istituzioni che il Vaticano II non si è posto, ma che è sorto nel post-concilio con il rinnovamento della Chiesa in nome della povertà e dell'accentuazione dei valori. I movimenti portano sempre, come un fiume in piena, cose buone e cose cattive e si scontrano con l’istituzione, vista quasi sempre in chiave negativa. Come le Chiese hanno la capacità di recepire queste novità, come saper conciliare la genuina ansia religiosa di gruppi, movimenti, persone con l’istituzione, che è uno dei punti saldi della Chiesa? La realtà di movimento hanno dopo il Vaticano II, non una considerazione, ma una repressione.
Dobbiamo costruire una Chiesa in grado di accogliere le conseguenze della secolarizzazione, dell’ecumenismo e dell'evangelizzazione. Questi sono alcuni dei problemi aperti dal Vaticano II, che non hanno avuto una soluzione, perché forse allora non era neppure possibile, come forse non lo è ora. Il Vaticano II ha chiuso certe porte e ne ha aperte altre. La grandezza di Papa Giovanni XXIII è stata quella di non avere paura, mentre una Chiesa che cerca di controllare il futuro, sulla base dei calcoli della razionale previdenza umana, è una Chiesa che non sa morire e rinunciare e quindi che non può neppure resuscitare.

 

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