ciclo di incontri - marzo 2004

Pace e guerra nella Bibbia e nel Corano

  chiudi  
stampa questa pagina  





Monoteismo e violenza divina

Armido Rizzi

 
Introduzione

Il mio compito non è propriamente teologico perché devo, in qualche modo, mettermi al di fuori delle tre religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo e islam) e guardarle con uno sguardo non neutrale, partecipe ma esterno, per individuare quali sono gli elementi che le accomunano e che, pur chiamandosi monoteistiche, non può univocarle in quanto le tre religioni, proprio sul tema della violenza, nei testi, presentano differenze notevolissime.

Diverso è se si guarda da un lato al testo e dall’altro alla tradizione e alla storia.

C’è una grandissima violenza nel Dio dell’Antico Testamento: operata direttamente da Dio sia favore del suo popolo, del futuro Israele, nell’Esodo (le dieci piaghe, il passaggio del mar Rosso, l’uccisione degli innocenti figli degli egiziani), sia contro Israele stesso, numerose sono infatti le maledizione che Dio scaglia contro Israele. In compenso poi, forse solo per ragioni storiche o perché Israele ha capito che quella violenza doveva essere lasciata a Dio, Israele di fatto non ha esercitato violenza; non ne ha avuto la possibilità: da duemila anni è il popolo vittima, è il non popolo.

Per quanto riguarda il cristianesimo nel Nuovo Testamento c’è un salto di quantità per cui le tracce di raccordo tra religione e violenza sono esili, mentre la storia cristiana ha tracce più pesanti: le crociate, la lotta contro streghe ed eretici e, soprattutto, le guerre di religione che hanno lacerato la cristianità per quasi due secoli, dal ‘500 fino quasi alla fine del ‘600. Queste guerre non sono guerre che si riferiscono all’ordine della colpa, all’ordine di vivere secondo Dio, ma all’ordine della retta professione di fede.

Se guardiamo all’islam, la jihad è la guerra santa, oppure è lo sforzo ascetico, o è la lotta per Dio nel senso di conquistare se stessi a Dio o è la lotta per Dio nel senso di portare la umma, la comunità di Allah in tutto il mondo? Per l’islam c’è stato nel tempo l’assunzione della guerra santa nel termine della guerra fatta nel nome di Dio (in Israele non c’è mai una guerra fatta nel nome di Dio c’è Dio che fa guerra per il suo popolo), nell’islam invece c’è un popolo che fa guerra per Dio, per allargare la comunità di Dio. L’islam in cento anni, come un vero fulmine, arriva da un lato sino all’India e dall’altro fino quasi alle porte di Parigi (la battaglia di Poitiers è combattuta nel 732): sono trascorsi cento anni dalla morte di Maometto.

Sono tre storie diverse, e verosimilmente diverse sono le connessioni tra ognuno di questi monoteismi e la forma di violenza che o attribuita a Dio o fatta in nome di Dio viene esercitata.

Sono tre tipologie diverse, per cui parlare di monoteismo e violenza presenta la difficoltà di trovare un modello che vada bene per tutte e tre: si parla quindi di un minino comun denominatore per abbracciarle tutte e tre, si abbassa quindi il modello tipologico o morfologico secondo cui interpretarle.

Con questo intendo dire che bisogna stare alle religioni monoteiste e il termine monoteismo non deve diventare una metafora per cose che non hanno nulla a che vedere; si fa questo a volte anche oggi quando il termine monoteismo è riferito a qualunque visione dove l’unità abbia un qualcosa di coattivo, di violento, un qualcosa di forzato.

In alcuni scritti si dice che il monoteismo è fallocratico: dall’idea di Dio come padre e signore, che è propria dei monoteisti, deriva il dominio del maschio sulla donna. Quest’idea poi si distende e abbraccia tante altre cose che col monoteismo hanno nulla a che fare… come il logocentrismo inteso come riduzione di tutta la realtà ad un’unità che cancella le differenze. C’è il logocentrimo alla Cartesio dove alla razionalità, alla scienza e alla tecnica si contrappone la riscoperta del corpo e del vissuto e il logocentrismo alla Heghel: il primo che attenua, cancella le differenze il secondo che le assorbe in sé le travolge, con una visione e attualizzazione totalizzante da parte del marxsimo-leninismo. Il monoteismo viene a intrecciarsi a coniugarsi con questi fenomeni che sono molto lontani dal monoteismo.

I tratti costitutivi delle religioni monoteiste e del monoteismo

Un primo elemento di chiarificazione credo sia quello di definire quali siano i tratti costitutivi delle religioni monoteiste e del monoteismo in modo di non usarlo in senso metaforico.

Il monoteismo nel suo proprium religioso, va definito per contrasto:

·          un Dio trascendente: non un Dio identificato o faticosamente disviluppantesi dalle forze della natura, un Dio che non fa parte della necessità dei fenomeni naturali che egli ha liberamente posto in essere;

·          un Dio trascendenza personale, una trascendenza personale – trascendente specificato come liberamente operante -, un Dio che opera attraverso una decisione formulata con parole, con interventi che sono delle parole in azioni;

·          un Dio universale, rispetto agli dei locali. Qui il termine politeismo è un po’ ambiguo, sarebbe il contrapposto abituale di monoteismo, perché si parla di politeismo quando di una certa religione ci sono più divinità, di solito organizzate in un panteon, però ci può essere una religione che ha una sola divinità e la definisce il suo unico Dio, mentre gli altri popoli o gruppi hanno i loro dei. Nella Bibbia ci sono tracce di quando Israele non era ancora monoteista nel senso che intendiamo noi, ma era monolatrico nel senso che doveva dare il suo culto solo a quel dio, non ad altri dei che erano quelli degli altri popoli. Probabilmente è solo attraverso l’esperienza, il confronto con Babilonia che la monolatria diventa monoteismo, il “tu non avrai altro Dio al di fuori di me” diventa “il tuo Dio è il Dio di tutte le nazioni e di tutti i popoli”.

Dove c’è una divinità Trascendente, Personale e Universale in assoluto possiamo parlare di monoteismo. Politeismo è una pluralità di dei dentro uno stesso panteon a cui rende culto un gruppo umano, un gruppo può anche avere un solo dio ma è un dio locale, un genius loci, ma questo non è monoteismo.

Il confronto tra monoteismo e paganesimo

Riflettendo su questo tema mi è venuto in mente il confronto tra monoteismo e paganesimo. È stato pubblicato nel 2002 in Italia un libro del sociologo francese Marc Augè dal titolo “Il genio del paganesimo” (ed. originale 1982); secondo la recensione di Corrado Augias sul Venerdì di Repubblica la tesi centrale dell’autore è: «il paganesimo politeista, o localista, non è mai dualista e non oppone lo spirito al corpo né la fede alla conoscenza, non istituisce la morale come principio esterno rispetto ai rapporti di forza e di senso che traducono gli accidenti della vita individuale e sociale. La salvezza, la trascendenza e il mistero gli sono essenzialmente estranei, di conseguenza il paganesimo accoglie la novità con interesse e spirito di tolleranza». Augias continua con parole sue: «se fosse lecito ridurre questo testo in una battuta direi che la rivalutazione del paganesimo fatta da Augè si basa su questo valore di fondo: la tolleranza rispetto alle novità, quella tolleranza nella quale le religioni monoteiste hanno dato prove così scadenti»; e riprendendo con il testo «per tutte le religioni del libro, la rivelazione è stata data una volta per tutte, mentre ogni nuovo profetismo è eretico per definizione».

Mi interessa questo libro per l’accusa di dualismo e di intolleranza, che non necessariamente diventa violenza fisica, ma che è avvertita come intolleranza lì dove, c’è questa presunzione di una verità che sarebbe parte del monoteismo stesso cioè l’unico vero dio; in contrapposizione con il paganesimo in quanto fenomeno di divinità o gruppo di divinità di carattere locale.

Cominciamo dal secondo lemma quello dell’intolleranza, della chiusura alle novità e della violenza quando, questa intolleranza e chiusura verso le verità altrui, impugni la spada nel senso letterale.

Oggi c’è una ripresa di trasferimento della difesa e della promozione della verità attraverso la guerra e la violenza, anche fisica.

Sarebbe troppo facile e anche un po’ improprio rifarsi al primo autore che negli ultimi 35 anni ha scritto sul rapporto religione e violenza: Renè Girard con “La violenza e il sacro”. Una visione che non mi ha mai convinto molto perché riduce la nascita della religione dalla necessità di superare quei movimenti di offesa (violenza) e controviolenza, nella forma di vendetta, che avrebbe distrutto ogni corpo sociale nel giro di poco tempo. Come fare allora? Cercare una realtà simbolica su cui proiettare tutta la propria volontà vendicativa, come un capro espiatorio. Ogni religione secondo Renè Girard sarebbe fondamentalmente questo: la compaginazione di una determinata società attraverso il processo del capro espiatorio e questo spiegherebbe tutte le forme di sacrifici umani o anche animali. Questa tesi non mi ha mai convinto del tutto perché i sacrifici umani appartengono ad un’altra tipologia che non è quella dell’espiazione, che presuppone il senso della colpa, porta alla vendetta ecc.; e poi anche perché negli ultimi tempi pare l’autore stesso abbia rivisto la sua tesi o almeno l’abbia ridimensionata.

Quando si fanno discorsi sul monoteismo, sulle verità che generano violenza, ci si dimentica, che le due grandi catastrofi del ‘900, nazismo e comunismo staliniano, sono state l’una di ispirazione pagana, l’altra d’ispirazione areligiosa e antireligiosa. Di ispirazione pagana vuol dire che riprende, contro tutta la tradizione cristiana ed ebraica dell’uguaglianza tra gli uomini ecc., il motivo eminentemente pagano de “il sangue e la terra”, cioè della radicazione: noi siamo quello che siamo perché apparteniamo a questa terra.

Questo è un tema capitale nella Bibbia ma rovesciato: Israele quando è in Egitto è lo straniero cioè il non appartenente, cioè colui che pur essendovi rimasto 430 anni non è egiziano perché non è nato originariamente su quella terra. A dar l’identità è la nascita su una determinata terra, perché è da quella terra che si prende il sangue, l’ethos  fino alla religione: gli dei sono quelli di una determinata terra. Questo carattere etnico, locale è proprio del paganesimo e anche la matrice pagus = villaggio, indicava nel pagus quei resti di religione che a differenza della religione delle città, che pur essendo locali avevano un respiro, uno spazio imperiale, ecumenico nel senso della “oikumene”cioè della parte abitata, mentre nel pagus invece c’erano i vecchi riti agrari legati alla terra.

Il nazismo è pagano; Karl Barth, teologo protestante del 900, contro una certa tendenza di un gruppo di teologi e cristiani ad accettare nei primi anni Hitler, scrisse il documento di Barmen dove diceva «l’unica parola che salva, che dà senso è la parola di Dio in Gesù, tutto il resto non dà identità».

Quanto al comunismo sappiamo della sua matrice areligiosa. Secondo una mia tesi, ha ereditato in modo inconsapevole una certa visione della storia come storia di salvezza ma espungendone Dio: è la storia di salvezza come autogenesi, autoformazione, autoproduzione del genere umano. L’autoliberatore è l’essere umano… che da senso alla storia e costruisce il suo regno di libertà… È la secolarizzazione della Bibbia…, ma non possiamo parlare di monoteismo.

Nel paganesimo c’è una violenza immanente che è quella dei sacrifici umani, che non si sono verificati in tutti i gruppi, ma si trovano in molte di queste formazioni pagane, nel senso di non monoteiste, legate a un pezzo piccolo o grande di terra. È una pratica molto documentata ed è usata non per vendetta contro nemici ma perché questi popoli percepiscono che c’è qualcosa di personale dentro la natura; infatti, offrono sacrifici, pregano, ma questo qualcosa di personale non riesce a districarsi dal movimento vitale della natura, anzi viene quasi a identificarsi col movimento vitale della natura soprattutto col suo ciclo portante: il ciclo annuale, ciclo di vita e di morte, morte che poi genera la nuova vita. La percezione che la nuova vita passa attraverso la morte chiede anche agli umani di partecipare simbolicamente, con un simbolismo a caro prezzo, a questa legge di vita–morte-vita. La ritualità è il sacrificio. Questo elemento già nell’AT è decisamente denunciato come un fatto gravissimo: quello del sacrificio di innocenti. Questa tipologia del sacrificio a sfondo naturalistico, non basato sulla necessità di espiare una colpa, ma sulla necessità di mantenere in essere, in circolazione la vita dei vegetali, degli animali e anche degli stessi umani, è una forma di violenza che fa parte del paganesimo e che è espunta decisamente dai monoteismi.

C’è così anche un tipo di guerra: se da una parte ci sono le guerre di Dio e fatte in nome di Dio, ci sono le guerre fatte perché un certo potere politico (ad es. babilonese o quello egiziano o quello degli aztechi), è l’espressione a livello umano del potere di vitalità della natura e dove c’è un gruppo che ha dato forma di civiltà a questa unità che è un insieme di individui il cui principio di unità è terra, popolazione, ethos, politica, religione, è da esportare. In qualche modo, ci si può proporre agli altri come l’ordine raggiunto, e se attorno a noi c’è il caos allora sottomettiamo gli altri perché in questo modo dilatiamo l’ordine; questo fa parte anche di religioni pagane dove la sostanza organica della guerra, anche più che nei monoteismi, è di portare la civiltà.

Monoteismi e violenza sulla natura

Un ultimo accenno al tema dei monoteismi e violenza sulla natura, secondo cui la violenza sulla natura che noi facciamo attraverso la ipertecnologia avrebbe la sua matrice ideale nelle scritture ebraiche e cristiane. Il testo base è la traduzione del “crescete e moltiplicatevi, dominate la terra…” dove il verbo ebraico è polivalente e alcune volte ha significato di dominio, ma non in questo caso. È all’interno di questa mentalità e cultura che a un certo punto può sbocciare, contro quella che era sempre stato il grande rispetto della natura voluto dal mondo greco, (la natura come madre eterna, la storia è una piccola cosa, la storia è la contingenza), con Galileo, l’idea che l’uomo incomincia a dominare la natura. Le scritture non c’entrano, il “crescete…” vuol dire governate bene, amministrate bene la terra; l’essere immagine e somiglianza di Dio non è allora un intelligenza così alta che permette all’uomo di dominare ma permette di essere il suo luogo-tenente, o come dicono i mussulmani il suo califfo, cioè rappresentante di Dio nel governare bene.

Monoteismo e violenza ideologica

Infine, per quanto riguarda la violenza ideologica.

Il principio della libertà religiosa, che ha avuto origine durante l’illuminismo, consiste nella libertà di ognuno di seguire quella religione che gli appare come vera, la libertà di seguire la propria coscienza a livello di religione cui aderire.

Quando oggi noi parliamo di libertà religiosa intendiamo grosso modo questo: la religione è un fatto così privato che non deve entrare nel pubblico, non ha grande importanza se non quella che uno gli dà; la religione non è un fatto di coscienza ma è un optional e allora ognuno si sceglie quella che gli dà più benessere interiore, lo aiuta a superare le crisi psicologiche. La religione può fare anche questo, ma quando l’adesione a una religione è dettata, è motivata da questo noi siamo fuori dalla religione, io penso. La religione allora è l’oppio dei poveri, che oggi è dei ricchi, questa libertà religiosa non ha più nulla a che fare perché alcuni per la loro scelta di libertà religiosa sono morti, sono martiri.

Il dualismo nella spiritualità

Per quanto riguarda il secondo lemma: il dualismo nella spiritualità. Non c’è nel paganesimo opposizione tra corpo e anima, tra mondo spirituale e mondo sensibile; non c’è nemmeno nell’AT, ma c’è stato nel cristianesimo derivato non dai testi ma dal pensiero greco, dal platonismo. Il platonismo cristiano - da cui il dualismo anima-corpo, l’anima carcere del corpo - non è biblico e non arriva alle conseguenze estreme di affermare che il corpo è male e l’anima è nel corpo come in un carcere per merito del monoteismo, cioè per la teoria della creazione. Dio crea anima e corpo e tutto il creato e dopo ogni creazione dice che è bello: questo non permette al platonismo cristiano, di cadere nello gnosticismo cioè in un conflitto di vita-morte.

Più importante nel libro di Augè è quello che riguarda la morale: “la morale - si dice - non istituisce il paganesimo, la morale come principio esterno rispetto ai rapporti di forza e di senso che traducono gli accidenti della vita individuale e sociale”; nel paganesimo la morale è quella che emerge dalle leggi della vita, la morale non è un imperativo, vuol dire invece assecondare quelle che sono le forze vincenti della vita.

Dall’altra parte invece la morale è trascendente e viene da fuori e questo accomuna i tre monoteismi. Nell’AT c’è la torà, il comandamento, l’insegnamento che è sempre morale e sapienziale, nel NT non viene assolutamente cancellato e così nel Corano che per qualcuno è un insieme di norme etiche e giuridiche. Allora, si tratta di Dio in quanto volontà che nella sua libertà pone il comandamento, comandamento esterno così come Dio è trascendente, così come Dio è un soggetto personale che non sono io; è una libertà che non è la mia, ma questo comandamento obbliga perentoriamente… La legge morale non è la mia libertà, è la luce che dice come devo fare per il bene, che pretende non solo di essere seguita ma amata. Nell’AT ci sono molti passi sullo stupore della legge morale che è dentro di me, e proprio perché Dio è trascendente, la parola di Dio è anche più immanente a me di me stesso. Israele ha conosciuto questo Dio come il Dio etico della legge, del comandamento, “amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima” e significa “Signore, la tua volontà è per me il valore assoluto, perché è il bene, perché è ciò che è giusto”. Proprio perché Dio è trascendente e può essere dentro di me in quanto soggetto e quindi può diventare immanente, cioè trascendenza-immanente che è la trascendenza della coscienza sulla libertà.

Questo non era possibile nel paganesimo proprio perché erano i giochi tra le forze vitali perché le religioni pagane sacralizzano i giochi di forze; nella bibbia invece inizia un processo di secolarizzazione perché dice che non sono divini il cibo, la sessualità, il lavoro ecc, sono creature di Dio ma non sono divini. Il lontano inizio della laicità, delle relazioni umane, sta in questo; ma non è una laicità che toglie quell’eccesso di sacralità che c’è nelle visioni pagane, le porta dentro nella modalità della legge di fronte a cui restare ammirati.

Quattro elementi in positivo del monoteismo

Proporrei il monoteismo come magistero di umanità…

1.        quando afferma che tutti gli uomini sono uguali. Se c’è un solo Dio e se tutti siamo fatti a sua immagine e somiglianza allora c’è una radicale uguaglianza in dignità tra tutti.

2.        perché Dio ha una preferenza, ha una preferenza per i poveri, lo straniero, l’orfano, la vedova e possiamo aggiungere che i primi fondamentali portatori dei diritti nell’ottica biblica sono coloro che ne sono deprivati. È la debolezza il luogo dei diritti secondo la Bibbia, non è la libertà, la capacità, le doti ecc. Dio dà uno sguardo di predilezione sui poveri e dà uno sguardo di giudizio su colui che può intervenire o rifiutarsi di farlo o intervenire opprimendolo. Questo è il Dio etico.

3.        la Bibbia è piena di immagini utopiche. Il marxismo ne ha prese alcune e ha disegnato un’utopia finale, anche se senza Dio: l’’immagine bellissima del regno comunista nel quale ciascuno darà secondo le proprie capacità e riceverà secondo i propri bisogni… la bibbia non fa altro che dire questo. Il marxismo ha visto bene il fiore e il frutto ma si è sbagliato sul seme: credeva che ci fosse la “bomba atomica” del bene, la rivoluzione della struttura economica; nella bibbia invece la terra promessa come quel fiore e quel frutto ha come suo seme l’individuo e la trama delle relazioni tra individui cioè la comunità solidale.

Il cristianesimo porta che dentro il seme (il cuore) c’è un veleno e quindi per prima cosa bisogna togliere questo veleno e questa è l’idea fondamentale del perdono: il cuore giusto come primo atto deve mettersi nella posizione del perdono, che non è sempre perdonare quello che mi ha fatto del male ma, ancora prima, non costruirsi il nemico.

E’ Dio che guarda nel cuore, perché soltanto dal cuore - dove il cuore biblico è quello che noi chiamiamo la libertà e la coscienza che la guida, ovvero la libertà responsabile - che può nascere il fiore e il frutto dell’utopia.

4.        Tutto questo non è possibile se non facciamo pace dentro il nostro cuore, se non facciamo solidarietà a tutto campo secondo il Dio monoteista, il Dio monoteista che ha perdonato in Gesù. Bisogna far cadere dentro di noi tutto quello che davanti all’altro ce lo rende nemico.

C’è il più famoso filosofo tedesco vivente, Jurgen Habermas, che in relazione alla laicità ha detto recentemente che abbiamo bisogno di recepire il magistero etico delle religioni (ebraismo e cristianesimo) perché stiamo perdendo, con le nostre democrazie e col circolo vizioso del tecnica – mercato – pubblicità - desiderio individuale, il senso etico di quella che era stata la grande scoperta illuminista.

Le religioni hanno qualcosa da dirci, non significa che dobbiamo convertirci ma dobbiamo riaprire il dialogo con le religioni della nostra tradizione perché hanno ancora da alimentare la nostra laicità.

Intervento tenuto presso la Fondazione Serughetti - La Porta · Bergamo - 2 marzo 2004

Ciclo di incontri: Pace e guerra nella Bibbia e nel Corano

 

 

logo - vai alla home page
Fondazione Serughetti Centro Studi e Documentazione La Porta
viale Papa Giovanni XXIII, 30   IT-24121 Bergamo    tel +39 035219230   fax +39 0355249880    info@laportabergamo.it