ciclo di incontri - Marzo 1999
Quaderno n.76
Creare e costruire. La creazione tra teologia e scienza
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La teologia della creazione e le sfide della scienza
I problemi, la bibliografia


Gianni Colzani

Dopo secoli di sostanziale immobilismo, la teologia della creazione è entrata in un periodo d'intensa attività. Tra le ragioni che spiegano questa rinnovata vivacità va certamente annoverato il rinnovamento biblico che, superata l'impostazione genesiaca, si è mosso verso l'affermazione della centralità cristologica della creazione; è stato il cammino degli anni '60 e '70: in essi il cristocentrismo della creazione ha trovato un generale consenso ed ha avuto il merito di orientare ad una teologia trinitaria della creazione. La sfida di questi ultimi anni - gli anni '80 e '90 - é, invece, dominata dalla esigenza di un nuovo, diverso dialogo con le scienze positive.

Al riguardo, l'impostazione dominante era largamente segnata da una mentalità apologetica che, rivendicando la diversità di orizzonte tra la razionalità teologica e quella scientifica, aveva finito per condurre al vicolo cieco di una radicale estraneità tra esse. In questo senso la maggior parte delle opere dedicate alla teologia della creazione prescindeva completamente da ogni descrizione scientifica del mondo; la teologia sottolineava a tal punto l'originalità del concetto teologico di "creazione" - altro rispetto a quello di "cosmo", di "universo", di "natura"- da pensarlo come alternativo ad essi. Per questa via la teologia della creazione era giunta a contrapporre alla visione scientifica una sua, diversa concezione del reale che, per lo più, denunciava il carattere astratto di una metodologia scientifica che raccoglieva la sua descrizione del reale attorno a un mondo governato da leggi necessarie per contrapporvi il carattere storico di una fede che faceva dipendere le sue scelte da una attenzione a quella storia che era segnata dalla centralità di Gesù Cristo.

Questa impostazione aveva le sue radici nella teologia della creazione di K. Barth:1 questi, considerando la creazione come il presupposto della alleanza cristologica, indicava il fondamento ultimo di ogni realtà storica nella elezione e nel giudizio, per altro cristologicamente qualificati, e risolveva ogni eventuale tensione tra il mondo creato e l'opera salvifica affermandone la costitutiva coincidenza in Cristo, sapienza di Dio. La problematica cosmologica era così recuperata e valorizzata ma lo era esclusivamente in un quadro storico-salvifico, ampliato al punto da comprendere la totalità del reale. Questa teologia di Barth si era largamente diffusa e, poiché la logica storico-salvifica era la logica del dialogo tra Dio e l'uomo e culminava nel dono della grazia, il risultato fu, ben presto, una concentrazione della creazione in termini salvifici e antropologici. «Non è più possibile ciò che per lungo tempo più o meno innocentemente si è fatto, di credere cioè che si potesse giungere alla fede nel mondo come creazione di Dio».2 Per Gogarten, che pubblica il suo lavoro nel 1967, «una fede nel mondo come creazione di Dio, che non sia solo un'interpretazione o visione del mondo, ma veramente fede in Dio creatore»3 è possibile solo a partire dalla rivelazione e, in forza di essa, deve escludere con forza, come ideologica, ogni visione del mondo. Dio e il mondo, insomma, non erano componibili in un unico atto di fede; anche se il mondo poggia sul volere divino, «l'affermazione della creazione ha così poco a vedere con la natura scientificamente indagabile, che già nella nomenclatura stessa si esprime la prospettiva del tutto diversa: la teologia non parla di natura ma di creazione».4

Il risultato di tutto questo fu una incertezza nella collocazione del tema della creazione, collocato da alcuni in un contesto cristologico e spinto da altri verso orizzonti escatologici; anche là dove venne lasciato nella antropologia, il tema della creazione fu, però, interpretato secondo le coordinate soggettive della creaturalità. Ne venne una comprensione che manteneva la teologia della creazione in uno splendido isolamento: l'inattaccabilità di questa verità da parte del pensiero e delle scoperte scientifiche era pagata con la sua pratica insignificanza. Questa prospettiva non è più la nostra. In termini storici si dovrà riconoscere che il dibattito ecologico, proprio degli anni '70, una volta superata l'accusa di una fede che - con il suo antropocentrismo - avrebbe animato e giustificato una civiltà predatoria e distruttiva dell'equilibrio del cosmo, finirà per imporre una nuova attenzione alla concezione moderna della natura; il confronto con la scienza risulterà un momento essenziale di questo nuovo orizzonte. Già con gli anni '70 inizia quindi un dibattito tra fede e scienza che diverrà cruciale nei decenni seguenti. In questo lavoro vorrei, innanzi tutto, offrire una sintesi della problematico scientifica, non sempre sufficientemente conosciuta negli ambienti teologici, per esaminare poi la accoglienza e le risposte che essa ha ricevuto da parte dei teologi.

l.IL DATO SCIENTIFICO

 

La cosmologia con cui la teologia si era tradizionalmente misurata era la cosmologia meccanicistica, era cioè la cosmologia che aveva costituito il moto quale principio di spiegazione dell'universo fisico; concepito come un meccanismo in moto, l'universo prescindeva sostanzialmente dal tempo ed era pensato come uno spazio illimitato, al cui interno collocare innumerevoli galassie e sistemi solari. A. Koyré5 ha ripercorso la storia di questa teoria chiarendone il lento imporsi, non privo di resistenze, e ne ha indicato il cuore nella sintesi tra la concezione copernicana del cosmo ed il nuovo modello di scienza impostosi con Galileo. Questa fusione farà sì che la cosmologia

non sia tanto il risultato di una osservazione astronomica accurata ed ormai in grado di avvalersi di supporti tecnici prima sconosciuti quanto, piuttosto, il frutto di una costruzione della mente. Dopo che la rivoluzione epistemologica della scienza avrà posto al suo centro- più che l'osservazione empirica- il procedere per formulazione e verifica di ipotesi matematicamente sensate, anche la cosmologia procederà per modelli matematici e si adopererà per decifrare l'ordine logico nascosto dietro il dato sensibile.

Questo sforzo é stato solo parzialmente recepito dalla teologia che, per la sua mentalità apologetica, quest'ultima era più portata a rimarcarne i limiti; nella sua spiegazione del mondo, la scienza non avrebbe mai potuto superare il limite dello sperimentale ed avrebbe necessariamente dovuto accontentarsi di spiegare il "come" dei fenomeni senza mai raggiungere quel livello di "senso" che sarebbe, invece, proprio della teologia. La scienza - si riteneva - aveva dei limiti congeniti e insuperabili, dovuti al suo stesso metodo. Questa convinzione ha finito per scavare un abisso di disinteresse tra scienza e teologia; senza troppo preoccuparsi dei complessi dibattiti cosmologici, la teologia riteneva di poter esprimere un sapere al riparo da eventuali contestazioni scientifiche. E' così mancato qualsiasi dialogo con la scienza con il risultato che la teologia si trova oggi a dover inseguire il sapere scientifico per riaprire un campo troppo a lungo disertato.

La cosmologia scientifica odierna

Il primo compito che spetta al teologo é quello di recuperare i termini della nuova mentalità scientifica. Per comodità li possiamo raccogliere attorno a tre fondamentali dati: l'apporto della termodinamica, la teoria della relatività e la fisica quantistica. La termodinamica, che studia gli scambi energetici, é forse l'apporto più alto della scienza ottocentesca; il suo apporto si basa sia sulla certezza che la quantità totale di energia disponibile non varia, dato che nulla si crea e nulla si distrugge, sia sulla convinzione che, in ogni scambio, c'é una certa dissipazione di energia sotto forma di calore. Da qui la convinzione che l'entropia dell'universo aumenti. Il risultato di questo modello è la percezione che il cosmo possiede una direzione temporale che gli è costitutiva: é irreversibilmente incamminato verso una fine6. La teoria della relatività abbandonerà la concezione dello spazio come una scena fissa e immobile sulla quale si distribuisce la realtà fisica per pensarlo, invece, come un insieme di relazioni. Ne viene una concezione dinamica che impedisce di ritenere che un avvenimento sia inquadrabile su uno sfondo spazio-temporale uguale per tutti; ogni avvenimento é unico e si qualifica per il suo specifico contesto. Qui lo spazio é ormai un concetto dinamico ed, oltretutto, pure comprensivo del tempo: 7 comprende tutto ciò che é simultaneamente presente e che vicendevolmente si influenza. Questa visione obbliga a ripensare la presenza di Dio al mondo: come ogni presenza, questa non andrà affermata in assoluto ma in ordine ad un suo preciso sistema di riferimento, da qualificare sulla base dell'atto creatore e della eternità del creatore.  L'ultimo dato, infine, é quello della fisica quantistica; questa presentazione della fisica nucleare, precisata dal principio di indeterminazione di Heisenberg, mette definitivamente termine ad ogni prospettiva determinista ma non alla ricerca di un fondamento ordinato del mondo.8 Provando a svilupparne la filosofia sottesa, H.P. Dürr9 ha collegato l'indeterminatezza di questa fisica con il concetto di "possibilità", aprendola così positivamente al divenire e al futuro.

Su questa base di pensiero, la cosmologia scientifica del nostro tempo ha provato a formulare una spiegazione dell'universo, una spiegazione cioè in grado di integrare sia quanto la fisica atomica dice circa gli elementi costitutivi del mondo sia quanto l'astronomia indica a proposito delle galassie e dei sistemi di galassie. Le scoperte di E. Hubble circa un universo popolato da galassie simili alla nostra ma che si allontanano dalla terra a velocità elevatissime da una parte fornirono una confe[1]rma alla teoria della relatività10 e dall'altra permisero di introdurre una nuova convinzione: il

nostro è un universo in espansione.11 Fu la teoria formulata da W. De Sitter ed avallata da A. Einstein. Questa teoria fu confermata dalla ipotesi di G. Gamow 12 che dovesse esistere una radiazione di microonde cosmiche, un radio-rumore da considerare come residuo delle trasformazioni iniziali del cosmo; formulata nel 1948, questa ipotesi fu casualmente verificata nel 1965 da A. Penzias e R. Wilson, due radioastronomi che, lavorando alla messa a punto di ricevitori-radar per satelliti, intercettarono una radiazione cosmica di tre gradi Kelvin (cioè meno 270 gradi centigradi), identica in tutte le direzioni.  Questi dati hanno portato gli scienziati da una parte a ritenere che il cosmo sia il risultato di un processo evolutivo e, dall'altra, a formulare modelli matematici in grado di esprimerlo. Queste concezioni del processo di sviluppo dell'universo non mancano di interpellare il pensiero credente e, per la verità, presentano un universo che sembra avere ben poco in comune con quello creato da Dio secondo le scritture. S. Hawking, ad esempio, giunge a formulare l'ipotesi di un universo illimitato e senza confini e, per questo stesso, totalmente autosufficiente e contenuto in sé stesso. Un simile universo non può non mettere in crisi l'immagine tradizionale di un Dio che, nella sua potenza creatrice, è colui che permette agli eventi di realizzarsi ed all'universo di evolversi:

«Finché l'universo ha avuto un inizio, noi possiamo sempre supporre che abbia avuto un creatore. Ma se l'universo è davvero autosufficiente e tutto racchiuso in sé stesso, senza un confine o un margine, non dovrebbe avere né principio né fine: esso, semplicemente, sarebbe. Ci sarebbe ancora posto, in tal caso, per un creatore?».13

Una simile visione di un mondo, illimitato quanto al suo inizio e quanto al suo termine, non é l'unica. Altri propongono ipotesi diverse; H. Everett, 14 ad esempio, ritiene che vi siano molti mondi, ognuno con le sue leggi e le sue condizioni proprie: se il loro numero é immenso, allora é possibile che in uno di essi - per caso - le condizioni siano quelle giuste per lo sviluppo della vita e - naturalmente - quest'unico universo é quello in cui viviamo. Tra le varie ipotesi possibili, meritano una certa considerazione sia la presentazione del mondo come sistema aperto sia la sua presentazione come sistema capace di autoregolazione. La presentazione del mondo come "sistema aperto", 15 intende indicare un mondo aperto a quel futuro necessario per lo sviluppo temporale dei processi di modificazione. Ovviamente la maniera di intendere il termine é poi diversa a secondo delle diverse ipotesi: chi insiste sulla informazione come principio energetico dell'improbabile e della novità, chi invece pensa ad un sistema aperto allo scambio di energia con il suo ambiente e chi, infine, ipotizza un universo che si espande all'infinito fino a sperdersi nello spazio. Altri ancora ricorrono all'idea di un sistema capace di autoregolazione o autorganizzazione: 16 in questo caso, il processo evolutivo é visto soprattutto come un processo organizzatore che, in quanto non totalmente determinato, appare capace di una sua "risposta" alla situazione che si crea volta per volta. Di fronte alla possibilità di fenomeni negativi, questa teoria vede nella vita un principio teleologico capace di trasformare l'universo in conformità ai propri scopi. Se non é il creatore ad essere all'opera in questo processo cosmico,17 allora bisognerà pensare ad una divinità immanente, ad uno "spirito dell'universo".18 Questo processo non può che attribuire una importanza sempre più grande al caso; se, infatti, le informazioni fossero trasferite in modo inalterato da una realtà ad un'altra non accadrebbe mai nulla di nuovo. Pur in un quadro di regole, l'universo non può essere pensato senza il caso: ha bisogno del caso e della necessità per diventare, in miliardi di anni, straordinariamente complesso e articolato. L'autore che più di ogni altro ha valorizzato il caso è stato J. Monod quando, anni fa, scriveva che «soltanto il caso é all'origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera, il caso puro, il solo caso. Libertà assoluta ma cieca alla radice stessa del prodigioso edificio dell'evoluzione».19 Una simile visione conferisce al caso e, addirittura, al caos un significato profondamente positivo: Prigogine e Stengers20 indicano come residuo di platonismo la convinzione che il caos sia necessariamente sinonimo di negativo mentre Sommer parla, al riguardo, di un gioco di forze naturali e interattive che danno un risultato ordinato ed, alla fin fine, risalgono a Dio21

Eigen22 poi, rifiutando ogni confine tra l'animale e l'uomo, svilupperà una teoria del processo evolutivo come "metaevoluzione" che dall'ambito molecolare trapassa in quello fisico ed, addirittura, in quello etico. Qui il canmmino della evoluzione si stacca dai dati oggettivi per far posto a valori etici e religiosi.

Il carattere interdisciplinare di molte di queste prospettive spiega gli sconfinamenti di metodo di molti di questi autori. Per quanto riguarda Dio, in particolare, raramente questi autori conoscono o discutono le tesi della teologia

cristiana confessionale; per lo più sviluppano il loro pensiero cogliendo, se mai, delle affinità o delle analogie con il

pensiero delle religioni orientali. Nel suo lavoro Dio e la nuova fisica,23 , P. Davies non si preoccupa gran che di precisare chi Dio sia ma, chiarendone il ruolo in vista di una spiegazione della natura, inclina a presentarlo come uno "spirito" che pervade e vivifica ogni cosa. In modo simile si comporta F. Capra24 che non esita a contrapporre una visione occidentale del mondo, creazionista, ad una visione che salda la nuova fisica con elementi di pensiero presi dal buddismo e dall'induismo, dal taoismo e dallo zen e nella quale domina la consapevolezza della unità e della interrelazione di tutte le cose. Il mistico esperisce quella unità che lo scienziato coglie solo con un giudizio sintetico che supera le differenziazioni. In questa visione unitaria, al di là dei dualismi di spazio-tempo e di energia-materia, il mondo é colto come unità, é colto come «il mondo spirituale della non-distinzione».25 Il mancato riconoscúnento del carattere cristiano di questa coincidentia oppositorum porta Capra ad ispirarsi piuttosto alla danza di Siva:26 il ritmo cosmico è come una danza nella quale le cose sorgono, si uniscono e si disgregano. Solo raramente ci si ispira a temi cristiani; là dove avviene, ci si richiama però al Cristo cosmico del prologo di Giovanni.27  In pratica il mondo é letto in un quadro di correlazioni dove Dio sta-dietro-a-tutte le cose secondo una logica apofatica dove l'inesprimibile Altro si manifesta in tutta la sua sorprendente prossimità. E' molto facile, però, che questo processo di autorganizzazione sfoci in una prospettiva di autocreazione. Lo sforzo di saldare la dimensione spirituale della autorganizzazione del mondo con un processo storico trova qui il suo punto più alto: si tratta di mantenere la polarizzazione Dio-mondo senza cadere nel monismo panteista da una parte e senza ridurla a pura separazione dall'altra. Ma, certo, l'analogia avrebbe bisogno di molto lavoro per essere teologicamente soddisfacente.

Il principio antropico

Il quadro cosmico appena tratteggiato sancisce definitivamente la rottura copernicana con la pretesa centralità della terra nell'universo; rimane però aperto l'interrogativo sull'uomo. Chi è l'uomo e quale è la sua funzione in questo universo?  A provare a rispondervi sarà quella teoria che va sotto il nome di principio antropico: presente già dal 1961 negli studi di R.H. Dicke che, nel processo cosmico, indagò le condizioni di possibilità della produzione degli elementi indispensabili alla vita, come il carbonio, la teoria del principio antropico fu ripresa da B. Carter nel 1974 28 e divulgata dall'astronomo Barrow e dal fisico Tipler. 29

L'intento era quello di integrare la dimensione spirituale in un processo fondamentalmente fisico. «I fisici sono riluttanti ad ammettere che la Mente sia degna di considerazione nelle loro teorie. Anche la meccanica quantistica, che si pensa abbia introdotto l'osservatore nelle scienze fisiche, non fa alcun uso delle proprietà intellettuali; una lastra fotografica può funzionare altrettanto bene da osservatore». 30 Opponendosi a questa impostazione, gli autori che si rifanno al principio antropico ritengono che le condizioni di sviluppo dell'universo siano tali da legittimare delle conclusioni sul suo insieme e sulle sue proprietà e che, di conseguenza, sia doveroso affermare che l'intero processo cosmico è orientato ad una vita intelligente.31 Il nostro universo sviluppa le costanti indispensabili per il nascere ed il crescere della vita trovando ogni volta un complesso equilibrio tra espansione cosmica e forza gravitazionale, tra calore ed energia; è l'evoluzione cosmica a produrre prima l'idrogeno e l'elio, poi l'ossigeno, il carbonio, l'acqua e, più in genere, gli elementi indispensabili per la vita. «Non vi è nessuna ragione fisica per cui le costanti dell'universo debbano avere i valori che hanno: delle infinite possibili combinazioni l'universo presenta appunto quelle che sono compatibili con la Noosfera: la Noosfera è quindi necessaria per spiegare la struttura dell'universo».32 La coerenza delle trasformazioni cosmiche porta Barrow e Tipler ad assegnare al principio antropico il ruolo di criterio di selezione tra i molti mondi possibili: l'universo è ordinato in modo da produrre, al suo interno, un osservatore intelligente. Seguendo fin dall'inizio un codice di informazioni mirate alla nascita della intelligenza, questo universo ha "voluto" l'uomo come il suo vertice, come il suo culmine.

In questo modo il principio antropico reintroduce il finalismo nella spiegazione dell'universo: considerando l'universo come uni-totalità in sviluppo, indica nella vita intelligente il senso pieno ed ultimo di questa evoluzione.  Queste prospettive interpellano certamente la teologia e chiedono di essere integrate in una più accurata visione di Dio.  Il dibattito sui fossili e sulle specie estinte, dato proprio di ogni teoria evolutiva, ha mostrato la fragilità di ideologie prive di ogni dialogo con le scienze: ricostruendo questo dibattito, Greene riporta il pensiero di J. Ray, un naturalista e teologo del '600, secondo il quale la estinzione di una specie è «una supposizione che i filosofi finora non sono stati disposti ad ammettere, ritenendo che la distruzione di una specie sia uno smembramento dell'universo ed un renderlo imperfetto, mentre essi pensano che la divina provvidenza mira soprattutto a conservare e a rendere stabili le opere della creazione».33 Al di là di questo dibattito, oggi visto con più serenità, sono però almeno due le questioni che la tematica del principio antropico pone alla teologia. La prima è quella del superamento di ogni separazione tra materia e vita, tra biologia molecolare e coscienza spirituale e libera. Si sa che, al riguardo, la teologia ha sempre avuto una posizione molto articolata: pur rifiutando con decisione ogni dualismo, tanto greco che cartesiano, ha sempre mantenuto una certa distinzione tra anima e corpo.  Questa teoria si trova oggi a doversi confrontare non solo con lo sviluppo del pensiero moderno e le sue tesi del soggetto, della coscienza, del corpo vissuto ma anche con la psicanalisi e con la scienza. Popper, ad esempio, ha in un certo modo ripreso il dualismo cartesiano con la sua teoria dei tre mondi: quello fisico, quello del pensiero e quello dei suoi prodotti. 34 Qui vi sono, probabilmente, più domande che risposte:35 quale rapporto esiste tra le attività psichiche, alcune delle quali sono presenti anche negli animali, e il cervello umano? quale rapporto tra i meccanismi del cervello e la mente autocosciente? quale rapporto tra la nozione scientifica di mente autocosciente e quella teologica di anima? quale possibilità di trascendenza è insita nelle dinamiche del cosmo? ed, infine, quale rapporto si dà tra questa eventuale trascendenza ed una visione olistica dell'universo? In ogni caso si dovrà prendere atto che la logica evoluzionista cammina verso un superamento di ogni separazione tra le diverse forme di vita e le pensa in un quadro sempre più integrato. La seconda questione è quella del male. Anche se la formulazione è apparentemente chiara è evidente che il termine "male" avrebbe qui bisogno di parecchie precisazioni; con "male" si intendono qui troppe cose e troppo differenti tra loro. Si va da chi pensa allo sviluppo espansivo del cosmo ed alla sua eventuale drammatica conclusione36 a chi fa osservare come la concreta linea evolutiva dell'universo, pur essendo perfettamente legittima, non sia per questo sempre priva di conseguenze angoscianti e drammatiche per l'uomo;37 da: chi nutre interessi etologici che mettono al centro del dibattito l'aggressività negli animali e nell'uomo38 a chi affronta la questione propriamente morale ed il suo rapporto con la dottrina del peccato originale. La trattazione di questi temi è solo all'inizio39 e, di sicuro, la relazione tra male e peccato andrebbe precisata un po' meglio di quanto normalmente non si faccia; non si può però tacere l'importanza di considerare spazio di interesse etico non solo il rapporto con sé stessi ma anche quello con tutta la terra e, addirittura, con la globalità del cosmo. Da una parte si può cominciare a guardare con interesse la possibilità di riportare le grandi sciagure naturali sotto un crescente controllo umano e dall'altra ci si potrebbe orientare verso il favor vitae40 come verso un primo criterio di etica cosmologica.

Questa ripresa della antropologia e dell'etica nella attuale discussione sul principio antropico spiega il ritorno a P, Teilhard de Chardin. Il suo pensiero è oggi al centro dell'interesse di teologi, scienziati e credenti delle più diverse religioni.45 Il punto di maggior interesse per il nostro problema è certamente la presentazione del Cristo cosmico, la presentazione del Punto Omega o meglio del termine dell'intero processo evolutivo. Mentre, però, non vi è alcun dubbio sulla dimensione cosmica della salvezza, la presentazione del Cristo cosmico non è senza esitazioni di modo che sia la delineazione del suo pensiero sia la sua condivisione, su questo punto specifico, non è senza difficoltà.

Origine e fine del cosmo

La considerazione del cosmo come universo in espansione ha trascinato con sé una rinnovata attenzione alle questioni della sua origine e del suo termine. Una volta superata l'ipotesi di un universo stazionario, la convinzione di un universo in espansione non mancò di introdurre il problema delle sue origini: l'ipotesi di gran lunga prevalente è quella del big bang.42 Il termine fa introdotto nel 1950 da F. Hoyle e ben presto si impose anche se, nel 1974, G. Ellis e A. King provarono a presentare l'origine dell'universo come un "vagito", intendendo indicare con quel termine valori di densità e di temperatura molto più moderate. Per. quanto di solito si parli del big bang come dell'inizio dell'universo, andrà pur ricordato che coincide con il cosiddetto momento di Plank, cioè con quel momento a partire dal quale è possibile elaborare calcoli matematici e teorie fisiche; antecedentemente ad esso vi è un istante- 10-43 secondi- totalmente avvolto nella indeterminazione. Nel big bang si realizza una singolare forma di potenza termica ed energetica che è in grado di realizzare una potenza di incontro e di interazione tra elettroni che genererà i primi basilari elementi dell'universo: l'idrogeno e l'elio ed, in misura infinitesimale, deuterio e litio. Da questa prima esplosione comincerà l'evoluzione e, con essa, la storia dell'universo.

Per quanto riguarda la fine del cosmo, è evidente che bisogna distinguere tra l'eventuale fine del sistema solare e la fine dell'universo in senso lato.43 E' presumibile che il sistema solare segua l'evoluzione tipica di quelle stelle medio-piccole, a cui il sole è assimilabile: si può quindi prevedere un futuro esaurimento della energia solare che, tra miliardi di anni, darà origine prima ad una fase di instabilità e poi ad un lento esaurimento del sole stesso. Il sole si spegnerà come si spengono le stelle nane, in via di esaurimento. Quanto all'universo, è plausibile che il movimento espansivo raggiunga in futuro un suo punto critico; oltre esso o l'universo si dissolverà in un insieme di oggetti in via di allontanamento e di energia in via di decadimento o, là dove la forza gravitazionale contraria alla espansione tornasse ad avere il sopravvento, darà inizio ad un movimento contrario di implosione fino al suo annullamento in un big crunch, in un unico buco nero. Non manca però chi, sviluppando il movimento evolutivo in forma ascensionale, parla di una fine del mondo come trasfigurazione di una materia che perde la sua opacità e si trasforma fino ad una trasparenza capace di nuova relazionalità. A farlo sarà F.J Tipler 44 che, al seguito di Teilhard, chiede un ripensamento dei temi escatologici cristiani e legge la resurrezione della carne come un misterioso programma di rinnovamento dell'universo, dove l'informazione accumulata dalla autocoscienza umana conoscerà un ultimo, definitivo salto che porterà le persone ad un ultimo decisivo salto nella comunione con il Dio della vita. Con questo la alleanza, che è il segreto della creazione manifesterà proprio in essa tutta la sua ricchezza, tutto il suo splendore.45

 

2. LA POSIZIONE DEI TEOLOGI

[4]

Queste posizioni, proprie di un sapere ormai interdisciplinare, esigono dalla teologia una rinnovata attenzione; in un'epoca in cui le diverse branche del sapere, pur nel rispetto delle proprie specificità, si muovono verso un sapere integrato, verso il sapere dell'uomo, non è certo il caso di trincerarsi dietro la pura riproposizione della diversità delle discipline. Occorre un atteggiamento diverso, una metodologia diversa che, guardando al contenuto, Moltmann46 chiama comunionale e, mirando invece al nodo interdisciplinare, Ganoczy47 chiama "dialogica". Ovviamente questo esige un superamento sia della contrapposizione sia della separazione di scienza e fede, cosa credibile solo là dove ci si muove verso una diversa impostazione del problema. Senza affrontare l'annosa questione, vorrei solo indicarne il punto d'arrivo:

«Non si tratta di riproporre il vecchio argomento di convenienza volto ad inglobare la scienza al servizio della fede: sarebbe un assumerla apologeticamente, ricadendo nel concordismo o nella indebita ingerenza nel campo scientifico; non si tratta neppure di introdurre un discorso valoriale all'interno della osservazione scientifica. Si tratta, invece, di attenersi al livello epistemologico della problematica e di chiedersi se il dono della fede non ha una funzione illuminante anche per lo scienziato e per la cultura scientifica: l'accesso al punto di vista altrui non fa perdere la propria specificità ma conduce ad arricchire la propria, originale capacità di osservazione e di sintesi».48

Ovviamente si può ritenere anche il contrario: si può, cioè, pensare che pure la problematica scientifica è arricchente e addirittura indispensabile per il teologo, almeno nella misura in cui la attenzione al dato culturale è costitutiva della razionalità teologica.

Il primo risultato di questo ripensamento è, probabilmente, la distinzione tra teologia naturale e teologia della natura49 e la convinzione della assoluta urgenza della seconda. «La teologia della natura è un'interpretazione della realtà conosciuta con l'esperienza alla luce della divinità già nota o anche soltanto intravista».50 A mio parere, l'elaborazione di questa teologia dovrebbe aver ben presente sia il dettato del Lateranense IV che «tra il creatore e la creatura, per quanto grande sia la somiglianza, maggiore è la differenza»51 sia l'interpretazione che il Vaticano I dà del testo di Rm 1,19-20.52 Su questo sfondo è legittimo aprire un dialogo tra la teologia e la attuale cosmologia. Per favorirlo vorrei presentare una recensione delle principali opere impegnate in esso; insieme ad una esigenza di aggiornamento, l'intento sarebbe quello di indicare la base per un dialogo fruttuoso. Senza pretendere di essere esaustivo, ricordo qui alcuni lavori che ritengo di particolare interesse per la nostra questione; nel farlo seguirò un ordine cronologico, salvo l'anticipare questioni di metodo.

l. Questioni di metodo

Comincerò con il ricordare alcune questioni metodologiche. Sul rapporto scienza-fede, con particolare attenzione agli aspetti cosmologici, non mancano le pubblicazioni; qui ne ricordo cinque.

 

1.             W. Pannenberg, Kontingenz und Naturgesetz, in A.M.K. Müller - W. Pannenberg, Erwägungen zu einer Theologie der Natur, G. Mohn, Gütersloh 1970, pp. 33-80.

Pannenberg inquadra il problema riconoscendo chiaramente che la teologia dialettica, impegnata a criticare la teologia naturale, ha finito per trascurare la teologia della natura, un tema oggi indispensabile per il dialogo con le scienze. Da parte sua Pannenberg ritiene la nozione di "creazione" inadeguata per questo dialogo, vuoi perché è irraggiungibile dalla scienza vuoi perché non comprende tutti gli aspetti del problema. Da parte sua ritiene di poter trovare una base di dialogo in due concetti presenti nella tradizione cristiana, quello di "contingenza" e quello di "legge di natura". Pur essendo un concetto filosofico, il primo ha il suo senso nell'indicare la non necessità del mondo e nel precisarlo di conseguenza, come aperto ad altro e imprevedibile; il secondo, invece, rimanda alla regolarità del cosmo e del suo divenire. Pannenberg ritiene, perciò, che mentre la concezione greca pensa il cosmo come segnato da un ordine eterno, la visione cristiana lo comprende come aperto a Dio e, in lui, anche a nuove possibilità; certo anche le scritture sanno che vi sono nel cosmo comportamenti stabili ma, in ultima analisi, li riportano a Dio e li comprendono in ordine a lui.  Questo discorso biblico non offre comodi concordismi; offre, però, un quadro per comprendere ciò che è compatibile con le scritture e ciò che non lo é. Vi è allora da chiedersi se la scienza attuale fa spazio alla contingenza. Di per sé l'interesse della scienza non riguarda la contingenza ma i processi del cosmo, anche quelli irripetibili e invertibili, e le leggi che li guidano. Il nostro autore ritiene che l'irripetibilità di alcuni processi evolutivi implichi la necessità di non assolutizzare le leggi di natura: queste vanno comprese in un quadro dominato dalla imprevedibilità. Si può allora concludere che le leggi di natura non escludono la contingenza, mentre l'imprevedibilità dell'evoluzione risale alla fedeltà di Dio come alla sua spiegazione ultima.  Questa teologia della natura, pur rispettando la diversità dei saperi, fa perno sulla contingenza come cardine della libertà di Dio e dell'uomo; non ne deduce il big bang ma vi riconosce un modello cosmico compatibile con le sue convinzioni.

 

2.             E. Cantore, Scientific man, ISH Publication, New York 1977 (tr. it. a cura di L. Valfré - P. Pincini, L'uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza, Dehoniane, Bologna 1988, pp. 560).

In questo lavoro l'autore, laureato in filosofia e teologia e ricercatore presso l'Institute of Scientific Humanism di New York, sintetizza l'apporto di una ricerca più che trentennale. Il lavoro ha un andamento sperimentale e speculativo al tempo stesso; infatti, a partire dalla ricerca scientifica propriamente detta, risale al ricercatore o, più esattamente, all'uomo che in questa avventura acquisisce una singolare esperienza di sé. Al centro sta perciò la ricerca scientifica così come è, ricostruibile in base alla storia, alla psicologia e alla sociologia: queste illuminano una mente aperta e disponibile ad interrogarsi, che fa della ricerca scientifica una singolare esperienza conoscitiva, capace di stupore, attenta all'imprevedibile e sensibile all'Assoluto. Staccandosi dalle abituali distinzioni tra scienze della natura e scienze dello spirito, Cantore rivendica con forza il carattere umanistico della scienza: è una splendida avventura umana che sta al servizio dell'uomo. Impressiona non poco che Cantore presenti l'appassionata dedizione dello scienziato al suo lavoro come una pena d'amore (p. 206) ed indichi in questo coinvolgimento la condizione indispensabile per ogni vera ricerca.  In questa prospettiva la ricerca deve affrontare la seduzione del tecnicismo e, soprattutto, deve recuperare l'inadeguatezza umanistica della scienza riscoprendone la valenza di responsabilità che le appartiene e che è il fondamento della sua eticità. Questa dinamica, per la sua illimitatezza, non può non ricercare l'intelligibilità suprema del mondo, incontrando così le questioni fondamentali della filosofia e della religione. In questo modo la scienza si spinge al di là di un semplice umanesimo o di una sapienza di vita: comprende «l'apertura al significato universale» (p. 542). Qui l'obiettivo non è più l'umanizzazione della scienza; è piuttosto una scienza che si fa compagna di viaggio dell'uomo e della sua vita.

 

3.             P. Bühler - C. Karakash (edd.), Sciences et Foi font système, Labor et Fides, Genève 1992, pp. 216.

Il testo rappresenta il risultato di un lavoro collettivo dell'Istituo di ricerche ermeneutiche e sistematiche dell'Università di Neuchátel e rappresenta un modello di lavoro collettivo e interdisciplinare. Il testo consta fondamentalmente di due parti: mentre la prima riguarda l'impianto teoretico del problema, la seconda ne offre una concreta applicazione su alcuni temi come la verità e l'intelligenza artificiale. Tralasciando la ricostruzione dei rapporti mai facili tra fede e scienza, fermerò l'attenzione sull'oggi. A firma di C. Karakash e O. Schäfer-Guignier, il testo offre una teologia dei rapporti tra scienza e fede; questi distinguono quattro modelli: il,conflitto, la convergenza o ricerca di sintesi, la complementarietà e la divergenza o rifiuto di ogni articolazione sistematica. L'originalità del contributo sta nella ampiezza e nella ricchezza della documentazione mentre, di per sé, i quattro modelli sono abbastanza ovvii e risalgono ad un lavoro del 1966. A firma di P. Bühler, il lavoro presenta l'ipotesi che guida il contributo: è un'ipotesi che si inscrive nel terzo modello e mira ad una complementarietà interdisciplinare dove i confini tra i diversi saperi non sono sempre ben precisabili. L'intento vorrebbe essere quello di favorire «une approche systémique des relations entre la raison et la foi consistant en une complémentarité en tension, faite d'interactions dynamiques» (p. 68). Non si tratta di favorire un giudizio degli uni sugli altri ma, attraverso questo dialogo, di condurre ogni interlocutore a riflettere meglio sulla propria identità e sulle proprie fragilità. In quest'opera, pregevole per tanti aspetti, i punti deboli sono rappresentati dalla presentazione del magistero sulla creazione ed, anche, dalla ricostruzione del sottofondo filosofico.

 

4 .            L. Galleni, Scienza e teologia. Proposte per una sintesi feconda, Queriniana, Brescia 1992, pp. 196.

Professore di zoologia all'Università di Pisa e direttore di Futuro dell'uomo, rivista espressione della Associazione Italiana Teilhard de Chardin, Galleni ci offre in questo agile libretto un percorso che è, insieme, la sua biografia intellettuale ed il risultato di una frequentazione non casuale con ambienti teologici. Il lavoro ha due parti; nella prima ricostruisce i rapporti tra fede e scienza mentre nella seconda li applica al campo della evoluzione della vita, da Darwin a Monod e Teilhard. Anche in questo caso il nostro interesse verte sulla prima parte, nella quale l'autore presenta i dati fondamentali della attuale epistemologia scientifica, alcuni sondaggi sui problemi posti dalla loro attuazione e la sua visione di una interazione tra scienza e fede. Galleni tratteggia, al riguardo, due coppie di modelli ognuna delle quali è costituita da un modello di interazione e da uno di esclusione; il discriminante tra le due coppie riguarda la possibilità di una vicendevole influenza tra il sapere scientifico e quello teologico o, addirittura, l'esistenza di un terreno comune su cui interagire anche se, ovviamente, il credente e lo scienziato lo leggono in base ai loro presupposti. La sua conclusione è che «una visione di sintesi, una visione sapienziale del mondo, non può fare a meno dell'interazione attiva di Scienza e Teologia» (p. 107).  Nel testo non si può non apprezzare la sicurezza dello scienziato nella scelta dei

temi e degli autori e la competenza nel presentarli; non vi è pari sicurezza nel recuperare l'apporto teologico, troppo ristretto al solo Teilhard.

 

5.             G. Siegwalt, Dogmatique pour la Catholicité évangélique. Système mystagogique de la foi chrétienne.  III: L'affirmation de la foi.  I: Cosmologie théologique: Sciences et philosophie de la nature, Labor et Fides - Cerf, Genève - Paris 1996, pp. 298.

Il punto di partenza di questo lavoro ha una sua singolarità; riflettendo sul fatto che gli scienziati accettano, se mai, un confronto con la filosofia ma non con la teologia, il docente di Strasburgo giunge alla conclusione che, in questo modo, le difficoltà per la teologia rischiano di raddoppiarsi: a quelle che si frappongono tra teologia e scienza rischiano di sovrapporsi anche quelle tra teologia e filosofia. Per questo organizza il suo lavoro per una cosmologia teologica in tre parti, le prime due delle quali sono raccolte in questo volume: il rapporto della teologia con la cosmologia scientifica, poi quello con la filosofia della natura e, infine, l'elaborazione sistematica propria della fede. Qui ci interessiamo solo della prima parte. Impostando la questione, Siegwalt riconosce la cecità della più affermata teologia occidentale circa la natura e ne indica il motivo nell'influsso agostiniano: la affermazione di una corruzione dominante distacca il mondo dalla creazione e lo pone sotto il segno del peccato. Nemmeno il doppio ordine tomista, di natura e grazia, giustificherà un totale impegno per il mondo; il dualismo cartesiano e la decisione barthiana di appoggiarsi alla sola rivelazione contro ogni rivelazione naturale completeranno questa separazione. Ne risulterà un disinteresse o una rivendicazione di autonomia, magari benevola verso l'altro, ignorato sapere. Dall'altra parte il progresso attuale delle scienze tende sempre più a superare la verifica sperimentale, spesso in ritardo anche di decenni sulla ipotesi, ed a configurarsi per un rimando alla realtà in quanto tale. Questo relativo superamento dell'esperimento porta alla centralità di modelli il cui significato è soprattutto funzionale e pratico; l'insoddisfazione per i limiti di questa razionalità formale spiegano il ricorso ad una visione globale, anche religiosa del cosmo. Siegwalt sottolinea con forza il dramma di queste scissioni e ne indica il segno più evidente nella ignoranza che i diversi esperti hanno delle altre branche del sapere. Attenendosi alla tradizione protestante, Siegwalt parla di una unità dialettica tra creazione e redenzione da assumere per un discorso cristiano sul mondo che eviti riduzione della teologia a soteriologia e ad antropologia. In termini positivi questa unità dialettica ha tre fasi: la scienza, la filosofia e la teologia. La scienza è semplice attenzione alla realtà così com'è; se si spinge a presentarla come "religiosa" e "teonoma" è solo per evitare una sua connotazione come atea e per mantenerla in rapporto con quella totalità, religiosa appunto, che va al di là del suo oggetto proprio (p. 164). Il discorso filosofico procede dalla percezione pensante delle cose e, dalle esperienze elementari, si innalza alle mediazioni culturali ed all'interrogativo sulla trascendenza; quello teologico parte dalla rivelazione per chiarire la realtà come relazione stabilendo così una pericoresi dei saperi dove nessuno può essere senza l'altro (p. 150).

 

2.  Per una cosmologia cristiana attenta all'oggi

Manca tuttora un consenso sulle questioni fondamentali e sul loro sviluppo in ordine ad una cosmologia cristiana; per questo non resta che prendere i singoli autori nella loro diversità. Di seguito ricordo sia alcuni autori che mi pare abbiano particolarmente contribuito a rinnovare il nostro tema sia quei manuali che in qualche modo hanno cercato di recepirlo.

 

1              P. Gisel, La création. Essai sur la liberté et la necessità, l'histoire et la loi, l'homme, le mal et Dieu, Labor et Fides, Genève 1980 (tr. it. a cura di A. Balletto, La creazione.  Saggio sulla libertà e la necessità, la storia e la legge, l'uomo, il male e Dio, Marietti, Genova 1987, pp. 236).

Il lavoro del docente di Losanna parte da due constatazioni abbastanza diffuse: quella di una "perdita del mondo" da parte dell'umanità contemporanea e quella del bisogno di ridire la fede in termini nuovi. Questi due fattori convergono nel chiedere un ripensamento della verità della creazione: in effetti, questa per un verso si è spostata verso le origini del reale e per un altro si è svuotata in una sua cosificazione. Evitati dai pensatori più originali della tradizione cristiana, tra cui il pastore protestante Gisel inserisce Tommaso, questi limiti sono emersi nell'epoca moderna che ha confuso l'origine con l'inizio temporale del mondo ed ha indicato nella res extensa il modello della realtà. La difficoltà a parlare del mondo ha spostato l'accento sulla storia e sul suo futuro, sulla libertà umana e sulla sua esigenza di salvezza, conseguenza del suo peccato. Ridire la creazione da dentro questo nucleo di problemi è possibile soltanto recuperando il valore della ontologia; solo questo salva da un sentimentalismo che si separa dalla durezza del mondo nel sogno di qualcosa di diverso e da una tecnica che vela dietro la forza l'irrisolta alterità del reale. Gisel affida la sua riscoperta del mondo alla ontologia che, saltando al di là della "essenza" greca e del "soggetto moderno", costruisce attorno al Dio che fa esistere: in questo modo, ciò che prende ad esistere rimanda a qualcosa che lo precede e che è indipendente.  Gisel riprende così il tema tradizionale della contingenza ma lo legge come gratuità e libertà divina, come origine di una fondativa relazione, come inizio di storia.  In questo rapporto tra Dio e l'uomo il mondo è il terzo: è cioè l'ambito in cui il divino e l'umano si incontrano, in cui la gratuità divina si salda con una libertà umana non abbandonata a sé stessa.  Il mondo appare così contingente e delimitato, totalità integrata nel volere di Dio; proprio per questo è il luogo del simbolico, è lo spazio della libertà umana, è l'ambito dove il bisogno e il desiderio si cristallizzano in una scelta che dà volto alla vita.  La dignità dell'uomo e della creatura si realizzano così sempre e solo nel particolare, nel contingente, cioè nel mondo e attraverso esso.  Queste osservazioni sono importanti ma lasciano senza risposta le questioni scientifiche del cosmo; il mondo che interessa è più quello di un heideggeriano Dasein che quello degli scienziati.  Volendo, se ne può ugualmente ricavare uno spunto: il senso del limite come espressione di una ontologia e di un'etica.  Rifiutare ogni limite per una malintesa vertigine di potere porterà a sperimentarlo là dove meno lo si sospetterebbe: «il

limite che sembrava assente dal laboratorio e dal suo luogo astratto di sperimentazione riapparirà nella forma della tollerabilità sociale» (p. 5).

 

2.             B. Lauret - F. Refoulé (edd.), Initiation à la pratique de la théologie.  III: Dogmatique 2, Cerf, Paris 1983 (ed. it. a cura di M. Falchetti, tr. di P. Crespi, Cosmologia cristiana. di S. Charalambidis, in Iniziazione alla pratica della teologia.  III: Dogmatica II, Queriniana, Brescia 1986, 11-51; Creazione ed escatologia. di P. Gisel, ivi, 633-752).

Questo testo ha la sua originalità nello schema. Innanzitutto mantiene la tematica della creazione sotto il segno della pneumatologia post-pasquale ed inoltre la spezza in due parti, attribuite rispettivamente ad un teologo legato all'arcivescovado greco-ortodosso di Francia e, di nuovo, a Gisel. Nonostante il titolo di "cosmologia cristiana", il primo contributo subordina la cosmologia alla antropologia nel senso che l'uomo, rinato in Cristo, porta in sé l'immagine di un mondo nuovo.  La trattazione, di conseguenza, è esclusivamente teologica e parla dello stato originale e di Cristo nuovo Adamo, dei sacramenti e della liturgia come ambito di trasfigurazione della vita, della resurrezione e della nuova, definitiva creazione.  Il contributo di Gisel segue, nello schema e nel contenuto, il testo analizzato in precedenza. Il dialogo con le scienze, in poche parole, è del tutto assente.

 

3.             J. Moltrnann, Gott in Schöpfung. Ökologische Schöpfungslehre, Kaiser, Múnchen 1985 (ed. it. a cura di G. Francesconi, tr. di D. Pezzetta, Dio nella creazione.  Dottrina ecologica della creazione, Querinìana, Brescia 1986, pp. 380).

Il lavoro di Moltmann, docente a Tübingen, prende le mosse dalla crisi ecologica, intesa però non tanto come problema ambientale quanto come interrogativo sulla persona stessa. Moltmann gli attribuisce un valore di reimpostazione delle stesse questioni di fondo: negli anni passati «il problema della creazione era il problema della conoscenza di Dio. Oggi il problema della dottrina di Dio è quello della conoscenza della creazione» (p. 7).  Da qui il bisogno di trovare una concezione che abbandoni la volontà di potenza, per un predominio sul mondo, e ritrovi le vie per un rapporto diverso con il cosmo. Moltmann condivide le critiche alla teologia newtoniana e imputa alla presentazione di Dio come "Soggetto assoluto" l'inevitabile riduzione del mondo ad oggetto. Per uscire da una logica cosificata e prepotente, Moltmann invoca una forma di pensiero partecipativa e integrativa, che guardi alla totalità delle relazioni; per sviluppare questa visione globale, si distacca dalla coppia natura-grazia, che a suo parere non salvaguarderebbe a sufficienza l'escatologia e sfocerebbe in un trionfalismo terreno, e si propone di «esporre una concezione trinitaria della creazione sviluppando il terzo aspetto, quello della creazione nello Spirito» (p. 21). Questa prospettiva lo porterà a ripensare Dio ed i suoi rapporti con il mondo. In questo nuovo modo di pensare «al centro non sta più la distinzione tra Dio e mondo, bensì la conoscenza del fatto che Dio è presente nel mondo e il mondo in Dio ( ... )Dio non è soltanto il Creatore del mondo ma anche lo Spirito dell'universo» (p. 26). E' la tesi della Weltimmanenz Gottes:53 abbandonando ogni contrapposizione tra Dio e il mondo, ogni visione di Dio come Das ganz Andere, presenta il mondo come la dimora, come la shekinah di Dio.

Provando a chiarire la nozione di vita, centro del suo pensiero, Moltmann si rifà sia alla Trinità che allo Spirito. Il primo è presto indicato: «partiamo dal presupposto che tutti i rapporti, che abbiano una analogia con quelli che si verificano in Dio, rispecchino l'inabitazione originaria reciproca e la reciproca compenetrazione della pericoresi trinitaria: Dio nel mondo e il mondo in Dio» (p. 30). Quanto allo Spirito, osserverà che «per Spirito, in riferimento alla natura, noi intendiamo le forme di organizzazione ed i modi di comunicazione dei sistemi aperti, a partire dalla materia informe per arrivare alle forme dei sistemi vitali, alle più diverse sirnbiosi di vita, fino agli esseri e alle popolazioni umane, addirittura all'ecosistema terra, al sistema solare, alla nostra galassia della Via Lattea ed alla combinazione delle galassie dell'universo» (p. 30). Da qui una totale condivisione del dato scientifico ed una presentazione di una nuova teologia della creazione: questa non dipende da un decreto divino ma appartiene alla normale espressine della sua vita che è vita d'amore (p. 103); la creazione dal nulla si spiega meglio alla luce dello zimzum, come autoumiliazione divina (pp. 110-112); la dottrina dello Spirito cosmico comporta una kenosis dello Spirito, una sua condivisione della storia di sofferenza del creato per originare coerentemente una speranza del mondo (p. 127). Quanto all'evoluzione, partendo dalla concezione del mondo come sistema aperto e dalla irreversibilità della direttrice temporale giunge alla comprensione della creatio continua come atto attraverso cui Dio conserva questo mondo e lo prepara al suo compimento (pp. 246-247); il compimento, poi, non andrà inteso come conclusione o instaurazione di un sistema chiuso ma come vitalità eterna (p. 250).

Il limite di questo discorso, a mio parere, è quello di una eccessiva assimilazione tra tesi scientifiche e tesi teologiche; bisogna, però, notare che questo dipende strettamente dalla maniera con cui Moltmann presenta la Trinità.  Pensandola economicamente in base alla storia ed alla missione di Gesù, Moltmann ha equiparato Trinità economica e Trinità immanente pensando quest'ultima in base ad una storia trinitaria dove il mondo è radicalmente coinvolto: da una parte il divenire storico è relativo a un divenire trinitario escatologicamente compiuto dall'altra questo compimento è principio di energia e di trasformazione storica.  Questa visione non salvaguarda adeguatamente la filialità divina di [5] Gesù ma la identifica con la sua missione, con la sovranità cosmica ricevuta nella sua obbedienza crocifissa; ne consegue che la distinzione tra il Figlio e quel mondo a cui consegna il suo Spirito non è adeguata: pensare dialetticamente la diversità nella unità e viceversa sulla base della pericoresi trinitaria non è sufficiente per giustificare l'unità trinitaria perché la pericoresi già la presuppone.  In realtà la spiegazione della Trinità immanente deve saper spiegare sia la comunione trinitaria di vita sia il suo realizzarsi - uno e diverso - nella storia salvifica; riassumere il compimento escatologico nella vita trinitaria non significa altro che il Dio di Gesù è il vero Dio fin dall'eternità e che non lo sarebbe senza il compimento del suo regno.

 

4.             J.L.Ruiz de la Pena, Teologia de la creacíon, Sal Terrae, Santander, 1986 (tr. it. a cura di T. Tosatti, Teologia della creazione, Borla, Roma 1988, pp.278).

Il docente di Salamanca dedica gli ultimi tre capitoli (pp. 196-271) del suo trattato sulla creazione ai nostri temi, ponendoli sotto un titolo «Questioni di frontiera» comprensivo di altre questioni ma già indicativo di una non piena integrazione dei problemi scientifici nella trattazione in quanto tale. Dopo una introduzione generale sul superamento del positivismo e sulla esigenza di nuovi rapporti tra fede e scienza, l'autore entra decisamente nel nostro tema. Dopo aver descritto alcuni modelli cosmologici, indica i nodi problematici del dialogo tra fede e scienza nella dialettica tra determinismo e indeterminismo, tra caso e finalità, tra cosmocentrismo e antropocentrismo.  Da parte sua l'illustre docente critica il determinismo in base alla indeterminazione della fisica quantistica, alla epistemologia scientifica popperiana ed alla rivendicazione della libertà; rivendica il finalismo della evoluzione sia sulla base di pareri scientifici sia su quella di presupposti teologici: a suo modo di vedere, infatti, il dibattito sulla teleologia nasconde un dibattito sul teismo, sulla esistenza o meno di Dio; infine, per motivi cristologici, opta per un antropocentrismo moderato da una "dotta ignoranza" circa altri mondi e l'esistenza di altre vite intelligenti.  Il suo intento fondamentale sembra duplice: da una parte intende evitare ogni forma di materialismo e dall'altro vuol presentare un concetto di creazione che, sulla scorta di una complementarietà tra fede e scienza, sia capace di integrare le tre diverse forme di mondo presentate da Popper.  Inclina, perciò, ad una teoria «che riconosca alla realtà la possibilità di superarsi verso il novum per salti qualitativi (il che spiega la diversità ontologica della realtà) e che induca in questo processo di plusdivenire il fattore creazione, cioè la presenza nel processo di una causalità trascendente che agisce producendo ex nihilo la prima forma di realtà contingente e coproducendo insieme alle cause intramondane il successivo emergere di novità» (p. 268).  Nonostante l'evidente sforzo di dialogo con il mondo scientifico, mi sembra che Ruiz de la Pena non raggiunga il risultato prefisso: si tratta più di una integrazione del trattato tradizionale che di un suo fecondo ripensamento.

 

5.             S.L. Jaki, God and the cosmologists, Scottish Academic Press, Edinburgh 1989, pp. 286 (tr. it.  Dio e i cosmologi, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1991).

Il testo raccoglie le otto lezioni che l'autore, teologo benedettino e studioso di storia della scienza, ha tenuto nel 1988 presso l'Istituto Farmington di Oxford. Il lavoro, bene informato, ripercorre le grandi trasformazioni proprie della cosmologia moderna, sforzandosi di coglierne il significato senza cadere in facili concordismi o in sterili conflitti.  Due polemiche rientrano in questa mentalità volta a perseguire, nel senso nobile, una apologia della fede.  La prima riguarda l'argomento cosmologico che l'autore rivaluta contro le critiche di Kant; lo fa partendo dalla visione di un universo, inteso come totalità contingente e accostato sotto il profilo di quello stupore che è l'inizio di un pensiero metafisico.  Anche se non mostra di approfondire granché l'impianto epistemologico di Kant, l'attenzione che dedica alla dimensione estetica del creato è degna di nota.  La seconda riguarda, invece, il carattere religioso del cosmo e la sua liturgia di lode a Dio.  Confrontando varie posizioni, dal panteismo ai diversi monoteismi, e seguendo Paolo (Rm 1,19-29; 12,1), Jaki mostra il legame tra Dio e il cosmo e la ragionevolezza di questo aspetto del culto cristiano.

 

6.             W. Pannenberg, Systematische Theologie.  Il, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1991 (tr. it. a cura di D. Pezzetta, Teologia sistematica.  II, Queriniana, Brescia 1994, pp. 11-201).

Pannenberg, docente a München, ci offre nella prima parte di questo volume una visione organica della sua teologia della creazione. E' una visione ampia, decisamente collocata in un quadro trinitario: «l'agire creatore di Dio si estende come un atto eterno che abbraccia l'intero processo del mondo e compenetra tutte le fasi dell'economia dell'agire divino nella sua storia» (p. 54). In questo atto eterno si deve collocare una varietà di azioni divine: la creazione e il mantenimento delle cose nell'essere, il concorso divino e il governo del mondo fino alla fine non vanno intesi come apporti esterni ma sono sempre espressione dell'agire di quel Creatore il cui amore avvolge il mondo.  Ne viene una visione aperta al futuro, che trova il suo vertice in un mondo trasformato in quel regno che è il suo fine.

Di questa ampia visione, a noi interessa la parte che Pannenberg dedica al mondo in quanto tale e che intitola "Il mondo delle creature" (pp. 74-161). Per comprenderlo meglio bisognerà aver presente non solo il testo Kontingenz und Naturgesetz (1970), nel quale Pannenberg opta decisamente per una teologia della natura, ma anche Der Geist des Lebens (1972), uno scritto in cui salda la concezione evoluzionista di Teilhard con la visione di una aperta alla trascendenza di Tillich per concludere che il mondo è un sistema aperto che lo Spirito guida sul percorso della vita.  Analizzando questo mondo concreto, Pannenberg spiega l'unità e la pluralità del mondo in termini cristologici e trinitari. Sul modello della vita trinitaria dove la autodistinzione del Padre dal Figlio avviene nel perenne riferimento del Figlio al Padre, ecco che la creazione nel Figlio motiva il «differenziarsi delle diverse creature dall'unico Logos dal quale esse scaturiscono. Il Logos, però, non è solo trascendente alle creature ma è presente ed operante in esse» (p. 78).  In questo modo, mentre spiega la contingenza del reale, la creazione nel Figlio riconduce tutto il mondo al Padre.  Per chiarire come sia possibile pensare la presenza di Dio nella realtà creata senza rimanerne prigioniero, Pannenberg fa ricorso allo Spirito, che è dúnamis cioè energia; lo immagina come un "campo di forza": «la persona dello Spirito Santo non va concepita come essa stessa campo, ma piuttosto come manifestazione singolare (singolarità) del campo della divina essenza» (p. 102).  Aperto a Dio ed alle sue forze creatrici, il mondo è presentato come un sistema evolutivo che partecipa della attività creatrice divina, pur mantenendo una sua autonomia.  Se ci lasciamo poi ispirare dai testi sacerdotali nel ricercare il senso, questa autonomia ha il suo senso nella sintonia dell'agire umano con il volere divino; «la volontà creatrice di Dio è che la creatura esista.  In altre parole, questa volontà è diretta alla esistenza autonoma della creatura» (p. 158).  In ordine alla sua fine, questa evoluzione dovrà tener conto non solo dei dati scientifici ma anche della aspettativa biblica della fine del mondo e del suo significato cristologico; questa partecipazione del mondo alla realtà divina, compiuta nel venturo punto Omega, dovrà tener conto che la realtà divina non si forma in Omega ma è presente, nel suo futuro escatologico, ad ogni fase del processo evolutivo.  La comprensione e la determinazione dell'intero del processo «viene soddisfatta sul terreno della fede cristiana nella resurrezione ed esaltazione di Gesù Cristo, l'Uomo nuovo.  Ma allora non si ha più bisogno di supporre future forme evolutive di un'intelligenza che si manifesta nel processo del mondo unicamente all'uomo» (p. 187.

 

7.             A. Ganoczy, Suche nach Gott auf den Wegen der Natur.  Theologie, Mystik, Naturwissenschaften - ein kritischer Versuch, Patrnos, Düsseldorf 1992 (tr. it. a cura di M. Goldin, Teologia della natura, Queriniana, Brescia 1997,pp.472).

Il lavoro di Ganoczy, docente cattolico di Würzburg, distingue tra teologia naturale e teologia della natura ed intende quest'ultima come «l'insieme di tutti i fenomeni organici ed inorganici. che sono oggetto dell'esperienza sensibile, dell'indagine razionale, della formulazione matematica e della manipolazione tecnica» (p. 9).  Introdurre questo tema in teologia significa abituarsi a pensare il mondo contemporaneamente sia come "creazione" sia come "natura".  Una teologia della natura è, per il nostro, partecipazione ad una ricerca in atto ed esige per questo un metodo che rispetti lo specifico delle diverse discipline ed eviti ogni confusione.  Ganoczy lo chiama dialogico per indicare la sua volontà di ascoltare e partecipare - da teologo cattolico, sia ben chiaro - a questa ricerca.  Queste scelte si riflettono sulla criteriologia del suo lavoro: ogni questione è esaminata prima dal punto di vista scientifico, poi alla luce dell'apporto delle varie tradizioni religiose, dall'induismo al buddismo alla mistica cristiana, per giungere da ultimo a delle indicazioni teologiche.  Rispetto alla abituale letteratura non si può che apprezzare l'introduzione della mistica cristiana, della quale Ganoczy valorizzerà soprattutto Eckhart ed Ildegarda di Bingen.  I temi attorno a cui raccoglie il suo pensiero sono tre: Dio, la natura e l'uomo.  In genere si può dire che le sue conclusioni rimangono nel solco della tradizione e che il suo apporto più alto é un contributo contro le semplificazioni di comodo e la confusione dei concetti.  Quanto a Dio, Ganoczy ricorda svariate questioni ma due mi sembrano fondamentali.  La prima è la sottolineatura di una dimensione spirituale che dal mondo risale a Dio; formalizzando il concetto, il nostro ricorda le diverse maniere di pensare Dio come spirito, maniere che vanno dalla concezione di un "soggetto assoluto" alla ripresa di una sorta di anima mundi, ad una libera presenza nella natura resa strumento dell'agire divino.  Per evitare che lo spirito diventi il principio di un monismo confusionario e riduttivo, Ganoczy rifiuta di pensare la spiritualità divina come un principio di organizzazione del mondo o come la negazione di ogni trascendenza.  Diversa dal mondo, la natura spirituale di Dio, se pensata trinitariamente, va pensata come aperta al mondo.  La seconda problematica riguarda l'equiparazione tra creazione e causalità.  Pur rifiutando ogni universo autocreatore, Ganoczy non ha difficoltà a riconoscere che il verbo bara indica un agire esclusivamente teologale, che la nozione di causa prima è stata troppo facilmente intesa come prima di una serie di cause seconde invece che come causa sui, che la creatio continua è stata troppo dimenticata; rivendica, però, il dato positivo che «dal seno stesso della sua eternità, Dio fa scaturire la condizione di possibilità di essere, tempo, spazio, energia, materia, antimateria e deflagrazione originaria» (p. 255).Per descrivere però la relazione tra Dio e il mondo, relazione di diversità nella somiglianza, Ganoczy riprende la nozione di analogia.

Quanto alla natura, Ganoczy richiama il vero senso, non dualista, della nozione biblica di "cielo e terra"; ne ricava però la conclusione che la terra non può essere un sistema chiuso a quel cielo che è il simbolo teologico di Dio.  In aggiunta ricorda la radicale differenza che vi è tra la nozione teologica di eternità e la concezione spazio-temporale della scienza; allo stesso modo ricorda che il caso o caos di cui parla la scienza non ha nulla a che vedere con il tohu wabohu di Gen 1,2: si tratta piuttosto «di un gioco di forze interattive , le cui regole sono (ancora) ignote; d'altra parte, però, questo stesso gioco genera sempre ordine» (p. 362).  Quanto all'uomo, infine, Ganoczy tocca le questioni della unità di corpo e anima, di cervello e spirito, e quello del male sempre ascoltando con attenzione il dato scientifico ma ribadendo le impostazioni ed il senso ultimo delle posizioni teologiche.  L'indubbio arricchimento del discorso teologico si connette così con l'offerta di chiarificazioni che aspettano una adeguata risposta.

 

8.             T. Schneider (ed.), Hanbuch der Dogmatik.  I, Patmos, Düsseldorf 1992 (ed. it. a cura di G. Canobbio - A. Maffeis, tr. di C. Danna, Dottrina della creazione. di D. Sattler - T. Schneider, in Nuovo Corso di Dogmatica. I, Queriniana, Brescia 1995, 144-279).

Gli autori, entrambi docenti all'università di Magonza, riconoscono facilmente che il trattato sulla creazione ha oggi bisogno di rinnovamento (pp. 146-148) ma riconducono la sostanza del problema sia al rinnovamento biblico che ne ha imposto una lettura cristologica e salvifica sia alla questione ecologica ed al dibattito aperto al riguardo da C. Amery, già nel 1972, con il suo lavoro Das Ende der Vorsehung.  Die gnadenlosen Folgen des Christentums che metteva sotto accusa il compito biblico di assoggettare la terra.  Tuttavia il testo riserva un buon spazio ai nostri temi, proprio nella sua parte sistematica.  Innanzitutto gli autori legano la nozione di creazione ex nihilo a quella del big bang e della espansione dell'universo (pp. 249-25 1; del pari si sforzano di legare la nozione teologica di creatio continua a quella di evoluzione e di autorganizzazione dell'universo (pp. 251-254) non senza interrogarsi sul problema del male; hanno presente il problema della evoluzione biologica e lo risolvono sulla base del fatto che Dio «fa sì che l'azione specifica delle creature superi e travalichi le possibilità preumane.  Egli è il fondamento trascendente, la condizione di possibilità di una evoluzione nel corso della quale è comparsa la vita umana» (p. 260); non mancano, infine, nemmeno di affrontare la problematica del tempo - lo fanno alla luce della teoria della relatività - e della sua fine (pp. 273-276).  Il loro discorso, insufficiente sotto il profilo di una lettura cristologica e trinitaria della creazione, è invece puntuale e attento al dialogo con le scienze.  Forse qualche parola di inquadratura generale avrebbe dato a questo dialogo una profondità ed una consapevolezza maggiore.

 

9.             J.M. Maldamé, Le Christ et le cosmos, Gedit S.A.- Mame, Tournai - Paris 1993 (tr. it. a cura di G. Maccaione, Cristo e il cosmo.  Influenza della cosmologia moderna sulla teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995, pp. 272).

Il lavoro di J.M. Maldamé, docente a Tolosa, è una limpida ricostruzione dei rapporti tra scienze della natura e fede cristiana.  Una breve introduzione ricostruisce i rapporti tra scienza e teologia, con particolare attenzione al nostro secolo; richiama la teologia del cosmo di E. Mersch e K. Rahner ma ricorda che il loro pensiero è rimasto largamente umanistico, tanto che le posizioni di Teilhard rimarranno isolate.  Il dialogo che Maldamé imposta non parte dalla rivelazione ma dai dati scientifici.  Con grande competenza presenta i dati della cosmologia moderna, ne recupera l'impostazione concettuale e si sofferma sul posto particolare che spetta all'uomo; il risultato è una chiara presentazione del rinnovamento di concetti e di schemi mentali oggi in atto.  La seconda parte è più teologica e mira ad illuminare la dimensione cosmica dell'amore salvifico; per questo presenta Gesù come il nuovo Adamo, riprende la tesi di Teilhard sul Cristo cosmico e presenta quel nuovo universo nel quale Dio sarà tutto in tutti.  In questo lavoro il teologo domenicano mette in atto una complementarietà di fede e scienza e mostra come, se la fede nel compimento pasquale illumina meglio il cammino umano e lo legge come una aspirazione al futuro, l'approfondimento della cosmologia permette di comprendere meglio il posto che Dio ha attribuito all'uomo in questo mondo.

 

1 0. ATI, La creazione e l'uomo.  Approcci filosofici per la teologia. a cura di A. Staglianò, Messaggero, Padova 1992; ATI, Dio, mondo e natura nelle religioni orientali. a cura di G. Canobbio, Messaggero, Padova 1993; ATI, La creazione.  Oltre l'antropocentrismo?. a cura di P. Giannoni, Messaggero, Padova 1993, pp. 414; ATI, Cosmologia e antropologia.  Per una scienza dell'uomo. a cura di G. Ancona, Messaggero, Padova 1995, pp. 228; ATI, Creazione e male del cosmo.  Scandalo per l'uomo e sfida per il credente. a cura di G. Colzani, Messaggero, Padova 1995, pp. 196; ATI, Futuro del cosmo futuro dell'uomo. a cura di S. Muratore, Messaggero, Padova 1997, pp. 474.

Il lungo elenco di testo rappresenta l'elenco degli Atti dei congressi di zona e nazionali che, per più anni, la Associazione Teologica Italiana ha tenuto sul tema dei rapporti tra fede e scienze della natura, seguendo un preciso impianto teorico.  La singolarità e l'unicità della iniziativa stanno nel fatto che l'opera è una sorta di lavoro collegiale protratto nel tempo e che, non di rado, ha coinvolto docenti normalmente estranei al mondo teologico.  Stante la loro mole, i lavori non sono riassumibili in una presentazione bibliografica come questa.  Mi accontenterò, perciò di presentarne la lettura logica.  Il perno dei lavori sono i due congressi nazionali, quello di Pisa del 1992 su cosmocentrismo o antropocentrismo, e quello di Udine del 1995 su futuro dell'uomo e del cosmo.  Il primo è preparato da alcune indagini sfociate in due congressi zonali, il primo su filosofia e cosmologia tenuto a Catanzaro nel 1991 e il secondo sulle religioni orientali tenuto a Brescia sempre nel 1991.  La preparazione del convegno di Udine è, invece, all'origine dell'incontro di Lecceto (Firenze) su creazione e male del cosmo, tenuto nel 1994, e di quello di Molfetta (Bari) su antropologia e problematico scientifica della evoluzione, tenuto sempre nel 1994.

 

11.           I. Sanna, Fede, scienza e fine del mondo.  Come sperare oggi, Queriniana, Brescia 1996, pp. 206.

Il lavoro di Sanna, docente alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense, a Roma, è una messa a punto della questione del futuro, una questione fondamentale per la coscienza antropologica d'oggi.  Una panoramica iniziale, corredata da bibliografia, ricostruisce l'apporto che questo tema ha avuto nella teologia, nella scienza e nella epistemologia scientifica; una seconda parte approfondisce la diversità del sapere scientifico e di quello teologico circa il futuro che, in campo teologico, è soprattutto escatologico; infine, la terza parte conclude il lavoro presentando i soggetti capaci di futuro, cioè il cosmo, l'uomo e Dio.  Il lavoro è buono e documentato ma non si può fare a meno di chiedersi perché , la panoramica sul futuro trascuri la filosofia, che anche in questo secolo vi ha ampiamente riflesso, o perché la presentazione di Dio come potenza di futuro sia raccolta attorno alla onnipotenza immolata, con una lunga digressione sul significato non direttamente onnipotente del termine pantokrator.  Inoltre la presentazione del futuro escatologico avrebbe bisogno di ulteriore scavo per superare il momento descrittivo.  Diversamente dalle scienze che modellano il futuro sulla base della previsione e della anticipazione, il futuro teologico è autonomo e autofondato: è il futuro di un Dio che, con il suo regno, mi si fa incontro.

 

12            G. Colzani, L'universo è di Dio. Il mondo creato e la libertà umana, in Antropologia Teologica.  L'uomo paradosso e mistero, Dehoniane, Bologna 1997, 407-449.

Il lavoro di Colzani, docente di teologia alla Pontificia Università dell'Italia centrale di Firenze, si inserisce nella parte sistematica della sua antropologia teologica.  Il disagio ed il bisogno di rinnovamento della trattazione portano l'autore ad interrogarsi, innanzitutto, sui criteri metodologici della trattazione; l'autore li ricerca in un dibattito con il. dato scientifico e con i primi tentativi di una teologia della natura.  Dopo un richiamo dei dati tradizionali, presenta le tesi di una rinnovata teologia della creazione, il dibattito tra scienze e affermazioni di fede e conclude con una ripresa della questione del male.  Attento alla problematica antropologica, ricorda il processo evolutivo ma porta la sua attenzione soprattutto sul principio antropico e sugli scenari finali della storia del mondo.  Pur in un quadro dialogico, l'intento è quello di non svuotare il patrimonio teologico.

 

Gianni Colzani

Via E. Kant 8, 20151 Milano

 

 

 

Conversazione tenuta presso la Fondazione “Serughetti La Porta” il 19/03/1999.

Testo redatto dall’autore



[1] 1K. Barth, Kirchliche Dogmatik.  III\I: Die Lehre von der Schöpfung, Theologisches Verlag, Zürich 1945, 103-377.

2F. Gogarten, L'uomo tra Dio e il mondo. Legge ed evangelo, Dehoniane, Bologna 1971, 301.

3Ivi, 303.

4G. Ebeling, Dogmatica della fede cristiana. I: Prolegomeni. La fede in Dio creatore del mondo, Marietti, Genova

1990, 327.

5 A. Koyré, Dal mondo chiuso all'universo infinito, Feltrinelli, Milano 1970 . Si veda anche M. Jammer, Storia del concetto di spazio, Feltrinelli, Milano 1963

 

[1] 6 «Se, fra tutte le modificazioni di stato che avvengono nell'Universo, le trasformazioni che avvengono in una certa direzione superano in grandezza quelle che si sviluppano nella direzione contraria, allora la condizione generale dell'Universo si modificherà sempre più lungo la prima direzione, e l'universo tenderà continuamente ad avvicinarsi ad uno stadio fmale» (R. Clausius, citato in G. Scalmana, La fine del tempo tra scienza e teologia, in Aa. Vv., La fine del tempo, Morcelliana, Brescia 1998, 168-169).

7 «Lo spazio e il tempo non sono solo misure operative, essi esprimono la ricchezza di ciò che é. Questa ricchezza é intesa come un'estensione e una relazione dell'essere con sé stesso, secondo la disposizione delle parti o secondo il suo divenire» (J.M. Maldamé, Cristo e il cosmo. Influenza della cosmologia moderna sulla teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995, 56).  Sulla relatività si veda V. Tonini, Einstein e la relatività, La Scuola, Brescia 1981; D.W. Sciama, La relatività generale, Zanichelli, Bologna 1972.

8 Lo dimostra il fatto che questa ricerca é stata intenzionalmente perseguita dagli stessi scopritori del sistema dei ''quanti"; tanto Plank che Heisenberg hanno pensato ad un ordine ultimo o divino del cosmo. Si veda M. Planck, Scienza, filosofia e religione, Fratelli Fabbri, Milano 1965; W. Heisenberg, Fisica e filosofia. La rivoluzione nella scienza moderna, Il Saggiatore, Milano 1961; Id., Indeterminatezza e realtà, Guida, Napoli 1991; Id., La Partie et le Tout. Le monde de la physique atomique, A. Michel, Paris 1972. Su questo aspetto si veda anche J. Polkinghome, Il mondo dei quanti, Garzanti, Milano 1986.

9 H.P. Dürr, Über die Notwendigkeit, in offenen Systemen zu Denken. Der Teil und das Ganze, in G. Altner (ed.), Die Welt als offenes System. Eine Kontroverse um das Werke von Ilya Prigogine, Fischer, Frankfurt 1986, 9-31.
10 Il problema, insolubile per il pensiero classico, riguardava il perché l'osservatore terrestre sembrasse essere il centro di questo movimento espansivo; applicando la teoria della relatività, si può facilmente capire questa apparente centralità della terra: in realtà l'universo è identico per tutti i possibili osservatori, senza che nessuno di essi occupi una posizione privilegiata.

 

[2] 11 S. Bergia, Dal cosmo immutabile all'universo in evoluzione, Bollati Boringhieri, Torino 1995; M. Cini, Un paradiso perduto. Dall'universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi, Feltrinelli, Milano 1994.

12 G. Gamow, La creazione dell'universo, Mondadori, Milano 1956.

13 S. Hawking, Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, Rizzoli, Milano 1992, 165. Nel medesimo senso F.J. Dyson, Infinito in ogni direzione. Le origini della vita, la scienza e il futuro dell'umanità, Rizzoli, Milano 1989.

14 E.H. Harrison, Le maschere dell'Universo.  L'immagine del cosmo dalle origini dell'umanità alle più recenti scoperte

scientifiche, Rizzoli, Milano 1989, 327-341.

15 G. Altner (ed.), Die Welt als offenes System.  Eine Kontroverse um das Werke von Ilya Prigogine, Fischer, Frankfurt 1986. La nozione di "sistema", qui utilizzata, indica una entità complessa che si comporta come totalità unitaria e non

come accumulò di elementi isolati.

16 E. Jantsch, Die Selbstorganisation des Universums. Vor Unknall zum menschlichen Geist, Hansen, München 1987.

17 E' quanto cerca di provare S. N. Bosshard, Erschaft die Welt sich selbst?  Die Selbstorganisation von Natur und Mensch aus naturwissenschaftler, philosophischer und theologischer Sicht, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1985 quando stabilisce una analogia tra "autorganizzazione" e "autotrascendenza", più o meno al seguito di K. Rahner.

18 E. Jantsch, Die Selbstorganisation...cit., 47, 412. All'origine di questa visione sta, forse, A.N. Whitehead, Il processo e la realtà. Saggio di cosmologia, Bompiani, Milano 1965 che esclude la trascendenza di Dio rispetto al mondo: per lui, il dinamismo dell'universo parte dalla unità eterna di Dio ma trova la sua espressione nel divenire del mondo.

19 J. Monod, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Mondadori, Milano 1970, 96. Nel medesimo senso F. Jacob, Evoluzione e bricolage. Gli "espedienti" della selezione naturale, Einaudi, Torino 1978; Id., Il gioco dei possibili, Mondadori, Milano 1983; R. Dawkins, L'orologiaio cieco. Creazione o evoluzione?, Rizzoli, Milano 1988. Su tutto il dibattito si veda D.J. Bartolomew, Dio e il caso, SEI, Torino 1987.

20 I. Prigogine - I. Stengers, La nuova alleanza.  Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino 198 l.

[3] 21 V. Sommer, Das schöpferische Spiel, in «Geo-Wissen» [Hamburg] (1990) 2, 64-70.

22 M. Eigen - R. Winkler, Il gioco. Le leggi naturali governano il caso, Adelphi, Milano 1986; M. Eigen, Gradini verso la vita. L'evoluzione prebiotica alla luce della biologia molecolare, Adelphi, Milano 1992.  Si veda anche P. Davies, Il cosmo intelligente.  Le nuove scoperte sulla natura e l'ordine dell'universo, Mondadori, Milano 1989.

23 P. Davies, Dio e la nuovafisica, Mondadori, Milano 1984.

24 F. Capra, Il Tao della fisica, Adelphi, Milano 1982; F. Capra - D. Steindl-Rast, L'universo come dimora. Conversazioni tra scienza e spiritualità con Thomas Mathus, Feltrinelli, Milano 1993.

25 F. Capra - D. Steindl-Rast, L'universo come dimora…. 166.

26 F. Capra - D. Steindl-Rast, L'universo come dimora….. 221.230.280.

27 F. Capra - D. Steindl-Rast, L'universo come dimora…127-128. E' questo anche il pensiero di Charon: «la cosmologia di domani sarà, ne siamo convinti, una cosmologia del Verbo, perché vorrà proporre un'immagine del Mondo in cui lo Spirito potrà armoniosamente allearsi con la materia, in una prospettiva evolutiva che ci consentirà di discernere verso vale sponda si dirige la nave su cui ci troviamo» (J.  Charon, L'Homme et l'univers, Marabout, Paris 1974, 198).

28            Su questo si veda J. Demaret - C. Barbier, Le principe anthropique en cosmologie, «Revue des questions scientifiques» 152 (1981) 181-222. 461-509.

29 J.D. Barrow - F.J. Tipler, The Anthropic Cosmological Principle, Clarendon Press, Oxford 1986. Sul tema si veda anche R. Breuer, Das anthropische Prinzip. Der Mensch in Fadenkreuz der Naturgesetz, Meyster, Miinchen 1983; F. Bertola - U. Curi (edd.), The Anthropic Principle. Proceedings of the Second Venice Conference on Cosmology and Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 1994; A. Masani, Il principio antropico, in G.V. Coyne - M. Salvatore - C. Casacci (edd.), L'uomo e l'universo. Omaggio a Pierre Teilhard de Chardin, Vatican Observatory, Città del Vaticano 1987, 1-27; S. Muratore, Il principio antropico tra scienza e filosofia, «Rassegna di Teologia» 33 (1992) 21-48. 154-197. 261-300; E. Mariani (ed.), Il posto dell'uomo nell'universo, I.P.E., Napoli 1995. Si veda pure F. Strafella, Le obiezioni al principio antropico, in G. Ancona (ed.), Cosmologia e antropologia. Per una scienza dell'uomo, Messaggero, Padova 1995, 30-40.

30 J.D. Barrow - F.J. Tipler, The Anthropic.... cit.; traduzione in L. Galleni, Scienza e fede. Proposte per una sintesi feconda, Queriniana, Brescia 1992, 45.

31 Questa formulazione del principio antropico è la cosiddetta formula forte; da essa si distingue sia la formula debole, che si limita a sostenere che la presenza di osservatori è limitata dalla loro posizione temporale, sia la formula terminale o finalistica che ipotizza una intelligenza in grado di elaborare le informazioni del processo cosmologico e, una volta giunta all'esistenza, impossibilitata a morire.

32 L. Galleni, Scienza erede ... cit., 48.

33 J.C. Greene, La morte di Adamo.  L'evoluzionismo e la sua influenza sul pensiero occidentale, Feltrinelli, Milano

1971, 109.

34 J. Eccles - K. Popper, L'Io e il suo cervello, Armando, Roma 1986, 52.  Su questo problema si veda anche J. Eccles, Il mistero uomo, Il Saggiatore, Milano 1981.

35 Tra i pochi ad aver affrontato questo dibattito tra i teologi, segnalo A. Ganoczy, Teologia della natura, Queriniana, Brescia 1997, 379-402; W. Pannenberg, Antropologia in prospettiva teologica, Queriniana, Brescia 1987, 179-359; J.M. Maldamé, Cristo e il cosmo ..cit., 92-113. In realtà, però, non si va molto più avanti di una formalizzazione del problema.

36 Si ripresentano qui sia il tema della entropia sia quello dei "buchi neri", là dove questi sono pensati come il risultato ultimo di una implosione che, giunto al limite del movimento espansivo, sarà di nuovo ripreso dalla forza gravitazionale fino ad un drammatico, finale big crunch. I "buchi neri" sono materia in pieno equilibrio termodinamico, nei quali cioè non entra e dai quali non esce alcuna radiazione.

37 Basti pensare ai virus od alle patologie.

38 Spiccano, al riguardo, i lavori di Lorenz; ne ricordo alcuni: K. Lorenz ' Il cosiddetto male. Per una storia naturale dell'aggressione, Il Saggiatore, Milano 1974; Id., Gli otto peccati della nostra civiltà, Adelphi, Milano 1974; Id., Il declino dell'uomo, Mondadori, Milano 1984. Il suo pensiero gira attorno alla convinzione che l'aggressività è «lo strumento della organizzazione di tutti gli esseri per la conservazione dei sistemi e della vita che, come tutte le cose

terrene, può incappare in disfunzioni distruttive ma che, ciononostante, è indirizzato al grande risultato organico del bene» (K.  Lorenz, Il cosiddetto male ... cit., 65).

39 G. Colzani (a cura di), Creazione e male del cosmo. Scandalo per l'uomo e sfida per il credente, Messaggero, Padova 1995; A. Ganoczy, Teologia della natura ... cit, 403-426.

40 E. Chiavacci, Considerazioni etiche, in G. Colzani (a cura di), Creazione e male ... cit., 100.

41 C. Molari, Rivisitazione di un modello problematicamente significativo: Teilhard de Chardin, in S. Muratore (a cura di), Futuro del cosmo futuro dell'uomo, Messaggero, Padova 1997, 119-164. Tra le molte introduzioni al suo pensiero ricordo solo R. Gibellini, Teilhard de Chardin. L'opera e le interpretazioni, Queriniana, Brescia 1991.

42 S. WEINBERG, I primi tre minuti. L'affascinante storia dell'origine dell'universo, Mondadori, Milano 1977; J.D. Barrow - J. Silk, La mano sinistra della creazione. Origine ed evoluzione dell'universo, Mondadori, Milano 1985; J.D. Barrow, Le origini dell'universo, Sansoni, Milano 1995; G. Norel, Storia della materia e della vita. La trasformazione dell'energia e l'evoluzione, Mursia, Milano 1989.

43 F. Bertola, Ilfuturo del cosmo: gli scenari terminali, in G. Ancona (ed.), Cosmologia e antropologia. Per una scienza dell'uomo, Messaggero, Padova 1995, 19-29; J.N. Islam, Il destino ultimo dell'universo, Zanichelli, Bologna 1988; P. Davies, Gli ultimi tre minuti. Congetture sul destino dell'universo, Sansoni, Milano 1985; I. Sanna, Fede, scienza e fine del mondo. Come sperare oggi, Queriniana, Brescia 1996.

44F.J. Tipler, La fisica dell'immortalità. Dio, la cosmologia e la risurrezione dei morti, Mondadori, Milano 1995.

45 Ch. Link, Die Transparenz der Natur fúr das Geheimnis dea, Schöpfung, in G. Altner (ed.), Ökologische Theologie.

Perspektiven zur Orientierung, Kreuz, Stuttgart 1989, 166-195.

46 Occorre- scrive Moltmann- «prescindere da un modo di riflettere di tipo analitico, fondato sulle distinzioni "soggetto-oggetto" e apprendere, invece, un tipo di pensiero nuovo, comunicativo, integrale. Riprenderà così il concetto pre-moderno di ragione come organo percipiente e partecipativo (methexis)» (J. Moltmann, Dio nella creazione.  Dottrina ecologica della creazione, Queriniana, Brescia 1986, 14).

47 A. Ganoczy, Teologia della natura, Queriniana, Brescia 1997, 25-27.

48 G. Colzani, Ilfuturo del mondo tra processi evolutivi e compimento in Cristo. Per un dialogo tra fede e scienza, in S.

Muratore (a cura di), Futuro del cosmo ... cit., 295-296.

49 H. Dembowski, , Natürliche Theologie und Theologie der Natur, in G. Altner (ed.), Ökologische Theologie ... cit., 30-58.

50 A. Ganoczy, Teologia della natura ... cit., 22. Più incerta la presentazione di Dembowski: «Con teologia della natura si intende il tentativo di acquisire conoscenze sulla natura e una sua corretta considerazione a partire dalla realtà di Dio, percepita nella sua rivelazione» (H.  Dembowski, Natürliche Theologie ... cit., 32).

51 Denzinger-Hünermann, 806.

52 Il testo di Rm 1, 19-20 dice che «ciò che di Dio si può conoscere è loro (ai non-ebrei) manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute». Il testo del Vaticano I insegna che «la stessa santa madre chiesa ritiene e insegna che Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create» (Denzinger-Hünermann, 3004). L'interpretazione di questo certo cognosci posse non è per niente univoca: mi limito a rimandare a W. Pannenberg, Teologia sistematica. I, Queriniana, Brescia 1990, 88-89 con particolare attenzione alla nota 34.

 

53 «Dio andrà inteso allora come Essere aperto al mondo, che egli avvolge delle possibilità del proprio essere e penetra con le forze della sua vita e del suo Spirito. ( ... )Non si può concepire dunque nessuna trascendenza del mondo a Dio se non congiunta con questa immanenza di Dio nel mondo, come viceversa non si dà un'immanenza evolutiva di Dio nel mondo che non sia accompagnata dalla sua trascendenza rispetto al mondo. ( ... )Dal punto di vista teologico il mondo è concepito come sistema aperto, di tipo partecipativo ed anticipativo, quando la storia stessa della creazione viene compresa come interazione di trascendenza e immanenza in Dio stesso» (pp. 242-243).

 

 

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