ciclo di incontri - Marzo 1999
Quaderno n.76
Creare e costruire. La creazione tra teologia e scienza
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In principio: I racconti della Genesi

Giacomo Facchinetti

I primi due capitoli della Genesi ci faranno compagnia e guida in questa riflessione. Nella lettura di questi testi dobbiamo distinguere l’ordine della scrittura dall’ordine della lettura, dobbiamo distinguere il tempo in cui sono stati scritti e il modo in cui si offrono alla nostra lettura. Gli studiosi ormai da alcuni secoli dicono che il primo capitolo è stato composto due, tre, quattro secoli più tardi del secondo, c’è quindi una differenza nel tempo di composizione, di fissazione scritta. A noi queste pagine che vengono dalla comunità di Israele, la comunità dei credenti, sono offerte in ordine diverso. Ci sono anche due logiche diverse, due criteri diversi e due comunità di lettori: la comunità dei lettori costituita dalla comunità dei credenti di Israele che ha dato forma a questi racconti e la società degli studiosi che ha individuato dei criteri diversi di lettura. Il criterio fondamentale che gli studiosi hanno utilizzato negli ultimi secoli è quello della genesi del testo. Ogni scritto va letto tentando di collocarlo nel tempo in cui è stato composto, in una determinata situazione storica, in un determinato ambiente culturale, per cui i testi andrebbero esaminati secondo un ordine cronologico. Abbiamo, quindi, due logiche o due criteri di lettura: l’uno secondo l’ordine cronologico, la lettura storico-cronologica, l’altro secondo l’ordine offertoci dalla comunità dei credenti, la lettura canonica. Negli ultimi anni si sta elaborando anche nella società degli studiosi un metodo di lettura, detto metodo di lettura canonico, che riconosce da una parte il carattere ipotetico di tutte le ricostruzioni dell’origine e dello sviluppo letterario dei testi che formano l’attuale Bibbia, cioè dell’attuale biblioteca di Israele, e dall’altro prende atto che la Bibbia si offre a noi in questa forma finale, che è la forma canonizzata, ritenuta normativa per la fede della comunità che l’ha prodotta, l’ha tramandata e offerta alle generazioni seguenti. Questo testo poi si presenta come un testo unificante in cui fin dal principio sono indicati i tre soggetti fondamentali: Dio, la totalità del cielo e della terra e all’interno di questa un posto particolare è riservato all’umanità: Dio, mondo, umanità. Questi capitoli formano una lettura unificante e sintetica e insieme un racconto ordinato gerarchicamente perché il primo posto è sempre assegnato a Dio. E’ un racconto unificante e insieme normativo, perché si presenta come norma e come modello, come regola di lettura per tutta la Bibbia; se si volesse eliminare uno solo dei tre elementi si falserebbe, si deformerebbe completamente il senso della Bibbia, che è lo sviluppo dell’intreccio, dell’avventura di questi tre elementi: l’avventura di Dio nel mondo insieme con gli esseri umani. La prima affermazione del brano letto, quindi, non è semplicemente la prima in ordine scritto, ma ha un valore normativo, in qualche modo rappresenta e determina il principio di lettura e comprensione di tutta la biblioteca. Tentare, o pretendere di fare, una lettura del mondo, dell’essere umano senza fare riferimento a Dio, censurare il riferimento a Dio, passarlo sotto silenzio, vorrebbe dire leggere non la Bibbia ma leggere tutta un’altra biblioteca e, anche se materialmente si sfogliassero le pagine della Bibbia, sarebbe come negare non solo la prima riga ma negare il senso, il significato, la verità contenuti in tutti i libri. La Bibbia si offre alla lettura in questo modo preciso e chi le ha dato questa forma ha voluto che fosse letta alla luce di quel primo versetto che non è solo il titolo di un racconto particolare ma è in qualche modo la tesi fondamentale che dà senso a tutto quanto è scritto in seguito. Censurare uno degli elementi significa falsare tutto, deformare, leggere un’altra storia. Questo vale sia che si voglia passare sotto silenzio il termine Dio come soggetto di quella avventura, sia che si voglia censurare la figura essere umano, o la figura mondo. Non si dà una storia puramente cosmologica senza riferimento all’essere umano e senza riferimento a Dio, ma neppure si dà una storia di Dio senza riferimento all’umanità e senza riferimento al mondo perché la prima riga ci dice che dal momento in cui la storia viene raccontata e ci viene svelata Dio vuol essere conosciuto come colui che ha fatto il mondo e all’interno del mondo ha collocato l’umanità. Non c’è possibilità di raccontare un Dio diverso, un Dio senza mondo, un Dio in se stesso, o un mondo senza Dio o un’umanità senza mondo o senza Dio. Una lettura analitica della prima riga, nel senso letterale di sciogliere questi legami, è una lettura mortificante della verità e della vitalità di questo grande romanzo, che è il romanzo di Dio nel mondo con l’umanità, si può anche dire che è il romanzo dell’umanità voluta da Dio collocata nel mondo, è il romanzo del mondo ma di un mondo che è il frutto della parola e del lavoro di Dio affidato all’essere umano. Se vogliamo raccontare, riscrivere, attualizzare il racconto biblico è necessario farlo sempre in relazione a questi tre elementi: Dio, il cielo e la terra e all’interno della totalità del creato l’essere umano. Il discorso si offre anche come un racconto lacunoso, con degli spazi bianchi, un racconto imperfetto che da una parte suscita tante domande che lascia senza risposta e dall’altra si preoccupa di dare poche risposte ad alcune questioni fondamentali. Ad esempio: “in principio Dio creò il cielo e la terra” ha un valore di titolo, dice l’azione di Dio nei confronti della totalità, il termine utilizzato è bara –creare- termine che viene riservato solo a Dio, nessun altro se non Dio può essere il soggetto di questa azione, ed è una azione che introduce novità, attira attenzione e suscita meraviglia. Questa prima affermazione fonda una relazione tra Dio e una totalità indicata da questi termini: ‘cielo e terra’, una relazione stabile e permanente non è indicata qui come tale, ma la si sa dal resto della biblioteca; dopo questa affermazione Dio potrà essere conosciuto solo come il Creatore, non come il creante, cioè colui che ha compiuto una volta tanto un’azione e poi l’ha abbandonata, ma come colui che in modo stabile si fa conoscere attraverso questa relazione che è permanente, che è destinata a durare per sempre. Ma subito dopo “..ora la terra era informe e deserta, le tenebre ricoprivano l’abisso, lo spirito di Dio aleggiava sulle acque ”. Da dove vengono queste cose ? La prima riga “In principio Dio creò il cielo e la terra” si riferisce a tutto ciò che è raccontato nella prima pagina, alle opere dei sette giorni, perché il termine “creò” ritorna? non lo si dice, c’è un salto e poi si incomincia a dire come Dio ha organizzato queste cose. Il testo non dice da dove vengono la terra, le tenebre, l’abisso. E’ un racconto, questo, che accetta di non dire tutto, che lascia nell’ombra, lascia non detto, lascia non raccontato, lascia uno spazio bianco tra l’affermazione dell’azione di Dio e la narrazione lineare e completa; è un racconto incompleto, che ci mette di fronte a una terra che già esiste, anche se inabitata e disordinata, ci mette di fronte all’abisso, alle acque, all’elemento liquido, all’elemento solido e all’elemento aereo, lo spirito, poi le tenebre che sono sul volto dell’abisso. Il racconto mette il lettore di fronte a questa situazione: una terra che già esiste, anche se informe, inabitabile, inaccogliente, poi l’abisso, le tenebre e lo Spirito di Dio. E' un racconto grande ma anche umile, è una parola che sta insieme al silenzio, è una parola che dice ma lascia non dette cose di non secondaria importanza, è uno spazio bianco, che accetta e sopporta spazi bianchi. Si possono raccontare cose fondamentali su Dio, sulla sua relazione con l’umanità, senza dire tutto dall’inizio alla fine, con delle lacune; si può costruire un racconto, non propriamente dell’origine, ma cominciando da un certo momento in avanti. Se consideriamo poi le tenebre insieme con lo spirito, la parola e la visione: “Dio disse” e poi “Dio vide”, sono elementi che in genere ritornano nelle teofanie; il bellissimo salmo 18 parla di Dio avvolto nella tenebra, la tenebra che in qualche modo è il velo di Dio, che segnala la sua presenza senza dar la possibilità di contemplare la sua essenza, però la sua presenza è una presenza personale, ecco il riferimento allo spirito di Dio, è una presenza che sta sopra, il termine usato “aleggiava” indica un movimento quasi di osservazione, di esplorazione prima di passare all’azione. Di che natura è la luce che illumina il mondo ma che è distinta dal sole e dalla luna? Non è specificato. Il primo elemento creato da Dio è la luce, una luce che illumina la realtà mondana ma che è distinta dai grandi luminari. Sarà il principio luminoso in sé, a parte la difficoltà di determinare questa realtà luminosa in se stessa, che illumina il mondo materiale senza fare riferimento a qualche cosa di materiale; oppure la luce dell’intelletto, ma non si è ancora accennato alla presenza di esseri intelligenti che possano illuminare puntando la loro capacità di penetrazione sulla realtà che è in questo stato di confusione, di inabitabilità e inaccoglienza. “ E fu sera e fu mattina, primo giorno”, qui si presuppone che funzioni già il calendario, ma il calendario non dovrebbe funzionare prima del quarto giorno quando Dio crea i grandi luminari specificamente per distinguere il giorno dalla notte, per segnare e dividere i giorni e gli anni. Come è possibile misurare il tempo in giorni prima che ci sia l’orologio cosmico per misurarli? Queste sono alcune indicazioni per evidenziare che chi ha composto il testo si rende conto che suscita delle domande alle quali non vuole dare risposta, mentre il testo si offre come risposta ad altre domande fondamentali: Dio, il mondo e l’umanità. Non dà risposte sulla natura di Dio, ma dice chi ha voluto essere Dio: Dio ha voluto farsi conoscere come il principio, il fondatore, il creatore, il custode di questa realtà complessiva e totale che è il cielo e la terra, e soprattutto dell’essere umano. Che cosa è il mondo? il mondo deve essere considerato come frutto, opera di una azione personale, esclusiva e cosciente di Dio, l’essere umano come frutto di una azione intenzionale, cosciente ed esclusiva di Dio, e titolare di una dignità e di una responsabilità che gli viene affidata dal creatore. Queste sono le risposte essenziali. Le domande marginali, senza risposta, stimolano la riflessione e spingono a trovare risposte che possano completare questi spazi bianchi, quello che interessa è lo stile del racconto che indica una comunità che accetta di convivere con domande coinvolgenti intellettualmente ma non decisive, una comunità che ha il senso della misura, che sa distinguere quello che è essenziale per essere e vivere da esseri umani portando il peso di una ignoranza, o di parole ipotetiche, provvisorie e bisognose sempre di verifica e di eventuale riformulazione. Come si presenta questo racconto? Si presenta caratterizzato non dal conflitto tra il discorso che nasce dalla fede e quello che nasce dalla scienza, questo è un nostro problema non il loro, ma contiene il conflitto, meglio il confronto, tra il racconto di Dio, del mondo, dell’umanità secondo Israele e il racconto secondo le nazioni, si presenta anche come il racconto frutto di una riflessione che ha selezionato. Nel medio oriente c’erano diversi modi di raccontare l’origine, o l’avventura di Dio, del mondo e dell’umanità, si utilizzavano diversi modelli ad esempio quello militare. La realtà che noi conosciamo è il frutto di un grande scontro militare tra divinità diverse, all’origine della realtà ci sta una morte, una uccisione, un assassinio, un atto violento; ci sono racconti di questo tipo sia riguardo all’umanità sia riguardo all’universo; l’universo così come lo conosciamo è stato raccontato come il frutto di una divisione violenta di una divinità femminile, una metà della quale ha costruito la parte superiore e l’altra metà la parte inferiore; l’essere umano è il frutto di un miscuglio temibile, inquietante, del sangue di una divinità secondaria sacrificata mescolato con la terra; in principio ci sta una uccisione, un atto violento, ci sta il conflitto da cui emerge un mondo. Dall’atto violento nasce un ordine, un ordine stabile o precario? questo modo di parlare della costruzione del mondo utilizzava un modello politico, la realtà politica mostrava come i grandi imperi nascevano attraverso conflitti militari che davano origine a un ordinamento provvisorio e precario, la guerra dunque cambiava la realtà e diventava il principio e l’origine di un determinato ordinamento, e a partire da quell’avvenimento si cominciava a contare il tempo. Un altro modello era quello sessuale, il grande Dio padre e la grande Dea madre si uniscono e danno origine a quella sequenza indefinita di esseri, dagli esseri divini a quelli umani, una specie di divinizzazione del principio che regola il mondo dei viventi, con una specificazione, nel mondo dei viventi la sessualità è legata alla morte, la funzione sessuale è legata alla morte dei genitori; nel mondo divino si sospende questo principio e si divinizza in se stessa la sessualità che diventa principio di fondazione o principio universale, il grande principio maschile e il grande principio femminile da cui tutto deriva continuamente, con la necessità, però, di riprodurre periodicamente sulla terra, attraverso i riti di fecondità, quel gesto originario che sta all’inizio del mondo degli dei, degli esseri umani e dei viventi, perché se non si rinnova l’atto originario il mondo decade e rischia di cadere nell’indebolimento e nell’estinzione della vita. Si parla di riti orgiastici che non sono legati al principio del piacere ma all’urgenza, alla necessità di riprodurre quell’atto originario che consente al mondo degli dei e a quello degli esseri umani di non languire, di non rompersi e spezzare la catena della riproduzione intesa come legge universale. In questo schema ci sono due elementi, oltre alla divinizzazione della sessualità c’è la necessità di due principi, così come nel modello militare si spezza il principio dell'unità: nel primo caso in modo conflittuale, nel secondo convergente. Nelle cosmogonie o teogonie egiziane troviamo il principio di autotrasformazione e poi di autodivisione sessuale, dove il principio originale assume forme diverse, ma non il principio di autocreazione. Il mito di Proteo, nel mondo greco, considera Proteo come colui che è il primo e che è capace di diventare qualunque altra creatura secondo il principio di autoformazione. Questi modelli sono in qualche modo conosciuti nella scrittura, ci sono alcuni indizi che mostrano che erano conosciuti ma sono stati scartati a vantaggio del modello della parola e del lavoro. “In principio Dio disse sia la luce, e la luce fu”, per secondo “Dio fece”, la parola e l’azione. La parola è veramente il principio originale e fondamentale, è l’azione più personale e più cosciente ed è capace di esigere e suscitare un interlocutore, è il principio dialogico. Già i rabbini avevano notato come ricorra per dieci volte l’espressione “E Dio disse ….”. In questo primo racconto hanno notato le dieci parole che stanno alla base dell’ordine della creazione, che richiamano e rinviano alle altre dieci grandi parole che stanno alla base dell’esistenza morale, dell’ordine, della libertà del popolo di Dio, di Israele; dieci parole che rinviano, preparano, danno forma ad un ordine, pronte ad accogliere le dieci grandi parole per la libertà dell’umanità; dieci parole dell’ordine della natura, del mondo, ma messe in relazione con le dieci parole che danno forma e regolano l’ordine della libertà e responsabilità umana. Il lavoro è un elemento valorizzato, ma non concede molto all’immaginazione, si dice solo che Dio fece. Nel secondo capitolo si aggiunge “Dio modellò”; in altri testi questa azione è più sviluppata come in Isaia cap.41, dove si concede di più all’immaginazione quando dice “…..chi ha pesato la polvere della terra,…… chi ha misurato col palmo della mano l’acqua”, indicando con ciò le operazioni di un Dio muratore, che prima è stato architetto, che fa tutto da solo perché nessuno era con lui a consigliare il suo Spirito. Si tratta di un antropomorfismo che concede molto ad un’immagine che tuttavia non è fine a se stessa, ma sottolinea il coinvolgimento personale di Dio, coinvolgimento analogo a quello dell’artista che modella la sua opera d’arte o a quello di colui che costruisce la sua casa. Tutto ciò fa pensare al fare di Dio, al lavoro di Dio, che in qualche modo risulta relativizzato dal fatto che il punto di arrivo di questo lavoro è il riposo di Dio. Il lavoro è l’altra grande categoria per la fondazione, l’organizzazione, la comprensione del mondo e di riflesso diventerà un'altra grande categoria per la fondazione e l’ordine umano, ma è anche relativizzato. Valorizzato perché Dio stesso può essere presentato come colui che ha elaborato il mondo, l’universo, la totalità, ma il settimo giorno ha riposato suggerendo quindi che il settimo giorno è dedicato alla parola detta, alla parola scritta, alla contemplazione, al silenzio, alla capacità di guardare e di percepire il lavoro dell’altro per esserne grati. Da tutto ciò vediamo che nella scelta critica del modello abbiamo la valorizzazione di due grandi principi: la parola e il lavoro con al primo posto la parola. Consideriamo ancora alcuni elementi: il modello dell’azione di Dio è la sua prima opera: “In principio Dio creò il cielo e la terra….” Proviamo a descrivere questa prima azione di Dio che dovrebbe essere esemplare per l’azione degli esseri umani, essendo essi fatti a sua immagine e somiglianza. In primo luogo con la sua parola Dio fa essere: “sia la luce”. In secondo luogo valorizza la differenza: “separò la luce dalle tenebre”; nel mondo di Dio c’è posto anche per i contrari, la differenza non è semplicemente tollerata ma valorizzata, ognuno secondo la sua specie senza confusione, l’ideale non è l’uniformità ma l’unità nella differenza. Il terzo elemento è l’assegnazione di un nome per significare il valore positivo che ogni cosa ha nella totalità. All’essere umano viene riconosciuto il primo posto, ma si dice anche che non è l’unico ad essere creato, c’è il mondo dei viventi a cui viene data la stessa benedizione data alla prima coppia umana. Il racconto utilizza gli stessi termini per la creazione di tutti gli esseri viventi, segno che il creatore ha mostrato attenzione, dedizione ed ha suscitato una realtà nuova e meravigliosa sia quando ha riempito l’acqua e l’aria di esseri viventi, sia quando ha creato la prima coppia umana. Questo è un modo per educare noi umani al senso del mondo, alle tracce del creatore del mondo, è anche un modo per superare la tentazione dell’antropocentrismo, un modo di pensare che vede solo se stesso col pericolo di escludere sia il mondo che Dio. Un’altra particolarità: il calendario è in relazione con l’intenzione di Dio di suggerire la ricerca agli esseri umani di un ritmo rispettoso di se stessi, tale da consentire la coesistenza pacifica tra di essi e gli altri esseri viventi.(Salmo 104). Si dice che i grandi segnali del tempo siano stati creati per segnare le stagioni, meglio l'interpretazione secondo cui Dio crea il tempo per le feste, istituisce il calendario per dare agli esseri umani occasione di incontro tra di loro (la festa), e di incontrare Dio. Quindi il calendario non ha la funzione di misurare il tempo in modo astratto, separato da colui che lo utilizza, ma è fatto a nostra misura, è fatto per segnare degli appuntamenti, ad esempio l’appuntamento di una comunità che si ritrova a fare festa e nella festa percepisce gli elementi costitutivi del proprio essere, radicato nella terra e insieme chiamato a guardare in alto, a dialogare, a comunicare con Dio. E’ interessante questo organizzare il mondo non al servizio dell’umanità, ma a suo beneficio, perché essa sappia trovare i ritmi biologici di una convivenza pacifica tra se stessa e gli animali e sappia trovare il tempo da dedicare alla contemplazione della propria identità. Arriviamo alla formazione dell'essere umano. ”E Dio disse facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza “ Qual è il significato di questa espressione? Per spiegare questa espressione prendiamo dal capitolo 5 “Questo è il libro delle genealogie di Adamo. Quando dio creò l’uomo lo fece a somiglianza di Dio, maschio e femmina li creò, li benedisse li chiamò uomini, quando furono creati. Adamo aveva 130 anni quando generò a sua immagine, a sua somiglianza un figlio e lo chiamò Set.” Questa espressione è interessante perché si parla di un padre che generò un figlio a sua immagine e somiglianza, l’espressione suggerisce un rapporto di paternità e filiazione. Da questo possiamo trarre delle indicazioni: la decisione di Dio di fare un essere con cui possa avere un rapporto di padre e figlio, come il figlio somiglia al padre così Dio ha fatto l’essere umano in modo che gli somigliasse, così che avesse con lui un rapporto di parentela, di intimità, di familiarità. Un’altra considerazione la possiamo trarre dalla prassi politico-diplomatica, che era solita costruire le immagini del re in carica e distribuirle nel territorio, queste immagini rappresentavano il re e la loro funzione era di mostrare che il territorio su cui erano collocate apparteneva al re, erano il segno della sua presenza e suggerivano che il re era presente anche lì. Utilizzando questi due modelli possiamo affermare che l’intenzione di Dio è quella di fare un essere che abbia relazione familiare con lui e fare di esso il proprio rappresentante sulla terra, colui che lo rende presente e vicino. Non c’è quindi bisogno di andare lontano per cercare Dio, perché ci sono tracce delle vestigia di Dio nelle varie creature e poi c’è la sua immagine; basterebbe sapersi guardare intorno e contemplare alla luce della parola, che dice il senso e la verità della persona umana, quale immagine di Dio e rappresentante di Dio sulla terra. La rappresentanza di Dio è legata alla differenza sessuale “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina lo creò.” La differenza è di nuovo parte integrante del progetto di Dio sull’umanità e quindi rifiuto di ogni visione totalitaria; è impensabile ed è impossibile e contro natura elaborare una sola immagine, o solo maschile o solo femminile, e imporla all’altro/a; è anche impensabile e va contro natura ipotizzare che solo uno dei due sessi possa essere rappresentante di Dio, della sua dignità, della sua gloria, della sua grandezza, della sua bellezza, e della sua autorità e responsabilità sulla terra nel tempo e nella storia, è qualcosa che va contro l’ordine che Dio ha stabilito per l’uomo e per la donna; è anche contro natura affermare che qualcuno abbia la rappresentanza esclusiva, rappresentanza che dipende non solo dall’esistenza e dalla conservazione della differenza, ma anche dalla sua integrazione. Una differenza quindi che, come si dirà nel capitolo 2, è la capacità di guardarsi e di essere di aiuto l’uno/a per l’altro/a, e anche di essere l’uno/a contro l’altro/a, perché a volte l’aiuto si dà attraverso la resistenza, opposizione, critica o contestazione nei confronti delle tentazioni totalitarie o dominanti dell’altro/a. E’ insieme e nella unità che si accoglie e valorizza la differenza, la si custodisce, la si salva e la si conserva, che è poi il modello della alleanza, dei due che diventano uno, non per soggezione, non per confusione, non al termine di un conflitto, non al termine di un processo, per cui uno/a o l’altro/a perde la propria identità; lo schema dell’alleanza implica la conservazione, la valorizzazione e la convergenza verso l’unità, forse mai raggiunta completamente, dei due soggetti. “E li benedisse, e disse crescete e moltiplicatevi e riempite la terra, soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo .” Certamente si parla di dominio, ma in che modo deve essere esercitato il dominio? Tenendo presente la decima parola: “E disse io vi do ogni erba che produce seme", che riguarda il regime alimentare degli esseri umani e degli animali, un regime vegetariano a base di frutta e verdura; il modello è quello di un mondo liberato dalla violenza, neppure per procurarsi cibo si può uccidere; noi non uccideremo e non saremo uccisi dagli animali e nemmeno gli animali si uccideranno tra di loro perché anche loro sono vegetariani. E’ un modello che esclude la violenza, l’ideale è quello della convivenza. Il compito affidatoci allora sarà un dominio che dovrà esercitarsi secondo l’esempio di Dio, attraverso la parola e attraverso il lavoro. Nel capitolo secondo si diceva che Dio creò l’essere umano e lo mise nel giardino perché lo lavorasse e lo custodisse e che Dio formò gli esseri viventi, li portò all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati e che l’uomo diede loro il nome; questo significa non solo affermare la superiorità dell'essere umano ma che anche gli animali sono opera di Dio e che c’è un legame profondo tra gli esseri umani e gli animali perché sono impastati della stessa terra. Il nostro dominio quindi si eserciterà in modo non violento, come individuazione della verità degli esseri viventi come cose buone, perché Dio le ha viste buone e le ha valutate buone, e insieme una parola che riconosce ciò che ci unisce intimamente a tutti i viventi insieme a ciò che ci differenzia, perché è ugualmente urgente che l'essere umano percepisca e affermi la propria differenza e singolarità. E’ giusto parlare di regno dell’umanità? Nel salmo 8 se ne parla: "Lo ha fatto poco meno di Dio, tutto è messo sotto i suoi piedi”. Se torniamo alla funzione ideale del re, come nel salmo 72, il compito e la funzione del re è quello di essere custode e guida, difensore della vita e dell’esistenza dell’essere e del benessere di quelli che gli sono affidati, Shalom la pace nel senso di pienezza, non solo assenza di conflitti ma pienezza di possibilità, di capacità realizzate; in questo senso l'essere umano è re del creato, custode e responsabile. E’ giusto che egli abbia coscienza della propria differenza del proprio essere simile a Dio, anche se una delle grandi tentazione è poi quella di farsi padrone, equiparandosi e sostituendosi a lui, la divinizzazione che porta al dispotismo, oppure l’assimilazione al mondo animale che consiste nel definire homo sapiens un animale tra i tanti, solo un po’ più evoluto. Un testo come questo suggerisce anche un’altra strada, quella della differenza, la valorizzazione della propria singolarità come realtà benedetta. Un’ultima cosa riferita al ritornello”…e Dio vide che era cosa buona” questa espressione indica il giudizio di Dio su questa realtà buona, che è il frutto del rifiuto di due modelli. Questo racconto, e la comunità che vi si esprime, ha rifiutato coscientemente e faticosamente sia la divinizzazione del mondo e della natura- rifiuto della divinizzazione del sole, delle stelle, della terra anche se madre dei viventi- sia la demonizzazione, che è la tentazione opposta a cui facilmente si arriva in contrapposizione alla divinizzazione. Ha scelto, invece, la benedizione del mondo nella sua materialità e vitalità, anche se legata alla riproduzione sessuale e quindi alla morte, alle differenze, alla varietà che può diventare occasione di rivalità o di concorrenza o di conflitto (Caino ed Abele, tra uomo e donna). Questo racconto ci vuole dire due o tre cose fondamentali sulla nostra relazione con Dio e sulla nostra collocazione nella creazione di cui non siamo i padroni ma ne siamo responsabili, ci chiede di rendere presente Dio, quel Dio che fa essere, che crea e valorizza la differenza, che è il principio della Benedizione e che ci chiede di essere partecipi del suo riposo; un riposo che è nel senso della compiutezza. Questo è il mondo che conosciamo o è quello che sogniamo? Questo è solo il primo atto della storia perché nel capitolo 9 si parlerà della storia del mondo che emerge dal diluvio, un mondo che porterà per sempre la cicatrice della violenza. L’autore non sogna un mondo non violento dimenticando la realtà. L'utopia è sempre presente, operante e necessaria, mai da dimenticare, anzi essa va sempre raccontata di nuovo ricordando l’avventura umana, ma senza negare la realtà, perché servirà a raccontare il mondo come esso è, minacciato e segnato dalla violenza. Il racconto dal capitolo 10 in avanti si può considerare come il cammino di un mondo che riemerge dal caos con una rinnovata opportunità di camminare verso la propria utopia che sta alle spalle perché è raccontata all’origine, ma è anche alla fine perché i profeti ci dicono quale è il fine del mondo; ricordiamo quella bellissima scena di Isaia al cap.11, dove attraverso la prassi della giustizia della comunità messianica il punto di arrivo sarà:“…il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto e il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà, la vacca e l’orsa pascoleranno insieme si sdraieranno insieme i loro piccoli, il leone si ciberà di paglia come il bue, il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide, il bambino metterà le mani nel covo del serpente velenoso, non agiranno più iniquamente né saccheggeranno tutto il mio santo monte e la saggezza del signore riempirà il paese come le acque riempiono il mare", la stessa prospettiva si trova in Osea cap.2 “Io farò un’alleanza con voi, una alleanza con le bestie del campo e farò sparire la guerra da voi”, da una parte la nostalgia o l’utopia che è il nostro sogno e il sogno di Dio, dall’altra l’ideale che ci sta di fronte verso cui siamo incamminati e in mezzo il tempo segnato dalla parola e dal lavoro per dare forma per raccontare di nuovo e modellare un mondo giusto e non violento che sogna, desidera la pace con Dio, tra gli esseri umani e con i viventi . Conversazione tenuta presso la Fondazione “Serughetti-La Porta” il 19/02/99. Testo non rivisto dall’Autore.
 

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