ciclo di incontri -Dicembre 1994 marzo 1995
Quaderno n. 66
La Costituzione non è un lusso: Principi da custodire, Istituti da riformare
  chiudi  
stampa questa pagina  




LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA OGGI
PRINCIPI - ISTITUTI

Enzo Baldoni

Il Professor Baldoni è ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico dell’università Cattolica di Milano. Il professor Baldoni ha già approffondito il tema di oggi in una serie di articoli apparsi sul Sole Ventiquattro Ore due anni fa, in polemica con le concezioni di Miglio, allora leghista. Ha studiato i problemi del federalismo comptibilmente con la Costistuzione e li ha confrontati con quello che si faceva passare per federalismo ma in realtà era separatismo. Do inizialmente alcune indicazioni di prospettiva. Cominciamo con qualche affermazione volutamente provocatoria. La prima è questa: il tema del federalismo, delle autonomie, è un tema classico del dibattito costituzionale, ma riguarda un capitolo minore, non importante, non decisivo al suo interno. Se noi prendiamo un testo classico del costituzionalismo liberale, la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, laddove si fonda l’idea di costituzione come garanzia dei cittadini nei confronti del potere, troviamo che l’articolo 16 dice che una forma di stato e di governo che non abbia divisione dei poteri e che non preveda la libertà per i cittadini non ha costituzione. Possiamo vedere questa affernazione anche così: ogni costituzione liberale ha due pilastri fondamentali che sono la divisione dei poteri e la tutela dei diritti del cittadino; questi erano libertà personale, proprietà, poi verrà la libertà di informazione, non certamente al tempo della rivoluzione francese la libertà sindacale e la liberta economica. Il costituzionalismo liberale, che va dal 1780 al 1880, si regge su questi due pilastri. Il terzo elemento, cioè la divisione non orrizzontale del potere, ma la sua divisione verticale, è stato considerato meno importante. Perchè si parla di divisione orrizzontale e di divisione verticale? Per potere si intende la capacità di cambiare autonomamente e a volte autoritariamente le posizioni giuridiche degli altri senza il loro consenso. Per esempio l’espropriazione per pubblica utilità è un atto di potere. La cartolina precetto del servizio militare è una manifestazione di potere, cosi come la cartella delle tasse. Le manifestazioni di potere si riescono a imbrigliare fondalmentalemte separando le persone titolari dei diversi poteri, come dice la teoria della divisione del potere da Montesquieu in poi. Sono stati individuati in modo rozzo ma efficiente, un potere legislativo, un potere amministrativo, e un potere giudiziario. Va da se che quando c’è una caduta di qualità dei primi due poteri, il potere giudiziario, che dovrebbe essere neutro, svolge un ruolo di supplenza perchè a quel punto entra direttamente nell’ambito degli altri due. Nel nostro paese la vera contesa è avvenuta li, a livello orrizzontale. Ci sono stati due anni di ampliamento del potere giurisdizionale. Adesso entreremo in un’età, non so se di cinque o di dieci anni di restringimento di questo potere giurisdizionale. E’ sempre avvenuto così. Molto più modesta, anche nella nostra cultura, è la disputa di tipo verticale tra i soggetti detentori di un potere territoriale. Facciamo un esempio concreto. Noi siamo in viale Giovanni XXIII numero 20. Ci sarà una cirscoscrizione, per esempio la numero 1. Questo tavolo dal quale sto parlando è dentro il Comune di Bergamo, dentro la Circoscrizione numero 1, dentro a un numero innumerevole di consorzi, nella provincia di Bergamo, nella regione Lombardia, nello stato italiano, nella Repubblica Italiana, aggiungo io, che è più ampia dello stato italiano, e poi nell’Unione Europea, senza che nessuno lo sappia. Questo cosa vuol dire? Che il cittadino italiano non ha mai percepito come forti le appartenenze di potere territoriali. Che la sanità appartenga alla regione, allo stato o al comune, ci interessa fino a un certo punto, in quanto quello che veramente ci interessa è l’efficienza, l’efficacia e il costo del servizio. La discussione sul federalismo, regionalismo, municipalismo si è sovrapposta a quella vera di cui parlavo prima tra i tre grandi poteri per un’intromissione, che è stata anche una grande intuizione, della lega che ne è riuscita a fare il cavallo di battaglia di un’intera proposta politica. Aggiungo quest’altra cosa: i cittadini italiani si sentono abbastanza da vicino cittadini del loro comune, poi si sentono italiani, ma fanno fatica a riconoscersi per esempio lombardi, cioè appartenenti a una regione, e poi percepiscono pochissimo una cosa meramente statistica che è la provincia. Il discorso del federalismo e del regionalismo è un discorso colto, elevato. La grande difficoltà del ragionamento sta nel fatto che se noi prendiamo i sacri testi del federalismo troviamo cose veramente notevoli, che ritengo che Bossi non abbia mai letto, anche se questa non è una colpa per un uomo politico: i testi di Gioberti, di Rosmini, dello Sturzo dei primi anni che è uno Sturzo regionalista, per quanto riguarda il campo cattolico, e per quanto riguarda il campo laico di Cattaneo e di Luigi Einauidi. Molto minosre è la simpatia del pensiero di sinistra per l’idea federale. Questo perchè un corretto pensiero di sinistra è centralista e statalista, in quanto se il valore centrale del suo pensiero è l’uguaglianza, essa si garantisce meglio dal centro. Ecco perchè il pensiero comunista, per un lungo periodo di tempo è stato coerentemente contro le regioni. La sinistra è diventata regionalista quando ha visto che per la particolare geografia politica italiana poteva amministrare delle regioni, in particolare nel centro Italia, in maniera diversa dal potere centrale e dalle altre regioni. All’Assemblea costituente quando i cattolici sostennero da soli l’idea delle regioni, che dovevano avere una quota di sovranità nel settore legislativo, esse passarono solo perchè in quel momento la cultura cattolica democratica era una cultura egemone, e fortunatamente egemone. La presenza cattolica ha avuto anche una grande importanza nelle costituzioni francese e tedesca. La cultura cattolica inventò una struttura intermedia di mediazione tra lo stato unitario accentrato che avevamo prima e che è finito nel fascismo, e tra uno stato tutto sfrangiato totalmente autonomistico, che non poteva reggere in una nazione italiana che esisteva da solo ottanta anni. L’avere scelto questa posizione intermedia è coerente con il pensiero cattolico di valorizzare le comunità intermedie, di trovare qualcosa tra la persona, e lo stato. Tra la persona e lo stato ci sono delle comunità intermedie che il pensiero cattolico mette una accanto alle altre, non in posizione gerarchica. Questo sono la famiglia, a cui si da grande importanza, come luogo primario della solidarietà, dell’educazione e della formazione; le agenzie, come la scuola, l’associazione sindacale, i partiti politico (idea positiva, rovinata dai ladri di tangentopoli, in quanto essi sono l’unica possibilità per noi poveri cittadini di influire nell’amministrazione pubblica); i comuni, ai quali Sturzo da grande importanza, e le regioni. Cosa fa la regione? Dovrebbe fare alcune cose, quasi sempre fatte male dal 1970, periodo nel quale le regioni non sono riuscite ad avere visibilità. Faccio sempre questa domanda alle persone che mi ascoltano: la regione ha questa scintilla di sovranità che è riuscita a strappare allo stato centrale: fa le leggi; la regione Lombardia nella quale noi siamo ha fatto in venticinque anni millecinquecento leggi. Qualcuno di voi sa farmi il nome di cinque leggi regionali che lo hanno riguardato nel proprio vissuto quotidiano? Vagamente sappiamo che c’è un edificio che si vede uscendo dalla stazione Centrale a Milano, e che è stato trasformato in emblema di una regione che ha fatto molto poco. E questa è la Lombardia. Se si scende, si toccano delle punte di vergogna, purtroppo nel sud; la regione Calabria, fino a cinque anni fa, non aveva mai presentato mai, dicasi mai, un bilancio consuntivo della regione. La regione Puglia, che pure era considerata la Lombardia del sud, si è lasciata espropiare dellle proprie competenze in un modo vergognoso qualche mese fa, in occasione dei casi di colera a Bari, dai poteri dello stato. Se questo fosse stato l’unico modo per mandare avanti le cose poteva anche andare bene. Quello che è stato veramente intollerabile è che non c’è stata nessuna protesta da parte della regione. La regione va avanti mentre le sue più significative funzioni pubbliche sono assunte dal Prefetto di Bari. All’interno di questo quadro, realistico, nemmeno fatto a tinte fosche, non ci rassegniamo a questo stato di cose, lottiamo continuamente, perchè teoricamente le regioni hanno importanti funzioni da svolgere. Secondo me queste si possono riassumere in due categorie capibili dal grande pubblico: le funzioni afflittive e le funzioni premiali. Le funzioni afllittive sono le discariche, gli inceneritori, i canali di scolo, dove le decisioni non possono essere prese solo dal piccolo comune. Le funzioni afflittive, quando si tratta di allocare qualcosa, non possono essere svolte dai piccoli comuni. Forse non lo riescono a fare neppure le grandi città. La regione è sufficientemente lontana e vicina per le funzioni afflittive, per allocare un inceneritore o una discarica, che altrimenti nessuno vuole. La regione dovrebbe coordinare queste funzioni afflittive con le funzioni premiali. Lo vorrebbero tutti. Le funzioni premiali sono gli investimenti, i benefici. Bisogna coordinare il dare e l’avere. Ma ci vuole una grande capacità di governo. Bisogna avere la capacità di andare a dire dai cittadini dei diversi comuni che le cose che si hanno in programma per i prossimi cinque anni sono queste e che nello stesso momento l’istituzione sarà rispettosa delle loro esigenze. Cosa facevano Bossi e la lega. Esasperavano tutto questo. Ora tutto si è attenuato. L’intuizione di Bossi è stata questa: lui aveva in mente solo una cosa: “Roma ladrona, la Lega non perdona”. Questo è il cuore pulsante della lega di cinque anni fa. Questo non si può dire nel dibattito politico e giornalistico. Subito il discorso diventava ripetitivo e mostrava la corda. Allora a questo discorso popolano, che ha avuto una sua solidità, perchè la denuncia della lega va presa anche dal lato positivo, Bossi ha messo il nome nobile di federalismo, senza nemmeno lui sapere cosa fosse. Ha poi trovato Miglio, che ha amplificato questa cosa, e sapendo invece benissimo cosa era il federalismo, aveva piuttosto in mente la secessione. Prendiamo la padania e attacchiamola alla Germania, facciamola entrare nell’area del Marco. Il discorso di Miglio è diventato quindi subito pericolosamente secessionista; quando Bossi se ne accorto ha frenato violentemente, e ha scaricato Miglio. Miglio che pensava di diventare Ministro per le Riforme Istituzionali è stato sostituito da Speroni, che non avendone la competenza ha fatto arenare tutto. Le proposte della commissione Speroni non sono state nemmeno prese in considerazione. La qualità finale del discorso è questa. Il Federalismo accentua un elemento di differenziazione nella resa dei servizi pubblici. Noi in Italia abbiamo avunto un culto esasperato, non tanto per l’eguaglianza, quanto per l’uniformità nella rete dei servizi. Da un certo momento in poi in alcune regioni che hanno un grosso squilibrio tra il dare e l’avere, tra le quali naturalmente c’è la Lombardia, che riceve 100 e da 148, mentre la campania da 60 rispetto a 100 e la Calabra 45, c’è stata una spinta di rottura. Per evitare questo si è detto: aumentiamo le responsabilità di tipo amministrativo e gestionale delle regioni, consentendo che ci siano dei livelli differenziati nei servizi pubblici. I più importanti fra questi sono: la sanità, l’istruzione, l’assistenza, il diritto al lavoro. l’occupazione, i contributi per la prima casa. Qui abbiamo una scommessa: Il popolo italiano è pronto ad avere un aumento della differenziazione dei servizi sociali senza rompere l’unità del paese? C’è un fascino e un pericolo nella differenziazione dei servizi pubblici. Il fascino è quello di fare tirare fuori da qualcuno che è tormentato, per esempio dal sud, qualcosa dal suo orgoglio perchè possa essere immesso nel circuito positivo del paese. Il pericolo è che se lasciamo all’utilizzo dei propri mezzi economici e finanziari con poche briciole aggiuntive, cosa succederebbe dell’istruzione, dellla sanità, in Campania, in Molise, in Calabria, dove sono già squinternate di per se? Il nostro diventerebbe un paese diverso, dove si aprirebbe ancora di più la forbice della disuguaglianza. La scommessa che noi facciamo può anche essere quella di uno stato federale, di un rafforzamento ragionevole delle autonomie regionali. Questo è valido, è possibile. La soluzione dei paesi europei a noi vicini, è positiva. Potremmo anche scegliere a caso. Se scegliamo un modello simile a quello spagnolo, sceglieremmo un regionalismo forte, dove la Catalogna ha molti più poteri e funzioni della Lombardia. Se scegliamo il modello tedesco, scegliamo il federalismo possibile. In Germania abbiamo una legge che dice che preso come cento il livello medio di un servizio, nessun cittadino di un lander possa avere meno di 95 e più di 110. Quindi il divario consentito è del 15 per 100, che è del tutto ragionevole. Per far questo occorre capire che si deve fare la scelta del federalismo in una convinta unità nazionale, perchè il giorno che non fossimo più una nazione, anche in Europa conteremmo molto di meno. Dibattito 1) In Italia si riesce a fare delle sovrastrutture senza dare potere alle autonomie regionali come previsto dalle leggi quadro e dalla costituzione. Ci sono molte risorse, la scuola, l’università, eccetera. Mi domando cosa è che non funziona in Italia dove anche ci sono gli strumenti utilizzabili. La scuola viene sempre evocata come una risorsa e un problema. Se io fossi presidente della regione avrei caraterizzato moltissimo il settore della scuola e della formazione professionale. L’IRSAE era una cosa positiva, per la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti. Però come sempre in accade in Italia è stata utilizzata male. Noi a Miliano abbiamo uno dei politecnici migliori del mondo, che andrebbe corroborato da un intorno che invece non c’è. 2) Volevo sentire la sua opinione sulle regioni autonome, specialmente sul caso del Trentino Alto Adige. Le regioni a statuto speciale sono un problema. Se prendiamo i numeri delle regioni a statuto speciale anche qui arriviamo a dei numeri scandalosi. I più scandalosi non sono nemmeno quelli del Trentino Alto Adige, ma quelli della Valle d’Aosta. La Valle d’Aosta ha una situazione finanziaria di privilegio dovuta al fatto che nel 1946 era una valle di 100.000 abitanti dediti soprattutto alla pastorizia. Non c’era la situazione di floridezza che c’è adesso. Nonostante questo ci sono ancora dei privilegi fiscali, per esempio il diritto ad acquistare un certo numero di litri di benzina a prezzo ridotto. Ora intaccare questo tipo di privilegi è molto difficile. Se noi diciamo che quello che va alla Lombardia e al Veneto per abitante dallo stato ammonta a 1.500.000, quello che va alla Valle d’Aosta supera i 7.500.000, e per il Trentino Alto Adige scende a 6.500.000. A questo punto regioni a statuto speciale secondo me non possono più esserci, come era anche proposto dalla comissione bicamerale De Mita Iotti. 3) Lei ha parlato della cultura di sinistra che era contraria alle autonomia locali. Adesso che siamo in un periodo di rafforzamennto della cultura di destra, cosa succede con le autonomie, visto che anche questa è centralista? La cultura di destra, che avevamo per tanto tempo sottovalutato, sta ritornando vigorosa ed è centralista, statalista e assistenzialista. Non nella dimensione Forza Italia, ma in Alleanza Nazionale. Se andrà avanti il processo della destra, il regionalismo sicuramente si attenuerà. E’ per questo che si è aperta quella prevaricazione tra Bossi da una parte e Berlusconi e Fini dall’altra. Io dubito che si faccia a questo punto una modifica della costituzione in senso regionalista o federalista, cosa che due anni fa era data assolutamente per pacifica. Per fermare il federalismo sembrava che si facesse sicuramente il regionalismo forte. Adesso sembra che non si farà nemmeno il senato delle regioni, che sarebbe invece molto opportuno. 4) Che differenza c’è tra federalismo e regionalismo? Pochissima differenza secondo me. Per portare avanti il tema delle autonomie locali rafforzate si è agitato il fantasma del federalismo, che inizialmente sembrava l’anticamera della secessione, con l’Italia divisa in tre. Poi si è attenuato tutto. Tra regionalismo e federalismo ora è quasi una questione di nome. Quando fino a pochi anni fa persone come Martinazzoli erano molto riottose a parlare di federalismo, io sono stato molto meno schizzinoso, anche perchè per me non c’è adesso una grande differenza. Se è possibile anche con la cultura popolana di Bossi mettersi d’accordo per riformare lo stato assistenziale, a me va bene lo stesso, anche se io lo chiamo regionalismo e loro lo chiamano federalismo. Basta mettersi d’accordo sui contenuti. 5) Se noi ci preoccupiamo che regionalizzando i servizi la resa degli stessi diventa fortemente sperequata, qual’è la controproposta per evitare che le regioni spendano senza preoccuparsi di quanto incassino perchè poi intanto arrivano i finanziamenti statali? Qui è difficile. Spero di avere dato l’impressione di essere un’autonomista. Io non sono contro regioni, province e comuni, nella misura in cui queste sappiano fare il loro mestiere. Noi crediamo alla serietà delle cose. Le cose una volte dette vanno fatte. Sono a favore delle autonomie locali a parole, ma poi le voglio. Quando vedo che la Puglia se la gioca in quel modo, o che la Valle d’Aosta difende i suoi cinque chili di zucchero senza tasse, mi arrabbio, perchè danno un’immagine negativa. Concludo dicendovi di avere amore per il vostro comune e per la vostra regione, un po’ meno per la vostra provincia, che tanto se la tolgono non piange nessuno, e di proseguire tutti nella battaglia autonomista
 

logo - vai alla home page
Fondazione Serughetti Centro Studi e Documentazione La Porta
viale Papa Giovanni XXIII, 30   IT-24121 Bergamo    tel +39 035219230   fax +39 0355249880    info@laportabergamo.it